Con il mercato del rap che è cresciuto in maniera esponenziale, è cresciuto esponenzialmente anche il numero di presentazioni stampa di dischi rap. E non è raro che artisti, etichette e produttori, per cercare di differenziarsi dalla concorrenza, diano libero sfogo alla fantasia: location segrete, proiezioni esclusive, guerrilla marketing, pubbliche declamazioni e chi più ne ha, più ne metta. A volte il risultato è convincente, altre meno. Nel caso di Clementino, però, lo è stato decisamente, perché oltre ad essere un grande rapper è anche un fuoriclasse dell’intrattenimento, capace di incantare perfino una platea di giornalisti generalisti, molti dei quali piuttosto agé e totalmente avulsi all’hip hop. In un piccolo teatro di quartiere dei primi del ‘900, si è cimentato prima in un monologo leggero e a tratti commovente che aveva per tema il titolo del suo nuovo disco, Tarantelle, uscito venerdì scorso, e poi in un vero e proprio live voce e chitarra – chitarra che suonava lui, peraltro, avendo riarrangiato i suoi pezzi più intimisti in versione acustica. Un bel modo per unire sotto lo stesso cappello (con la visiera, come d’ordinanza) tutte le sue varie anime: di mc, di intrattenitore, di improvvisatore, perfino di attore. (Continua dopo la foto)
Tarantelle, per Clementino, è l’album della maturità, della consapevolezza, degli affetti, ma anche del vero ritorno, dopo un momento buio che lo ha portato a toccare il fondo e a risalire con grande sofferenza: tutti sanno – perché è stato lui per primo a raccontarlo – che negli ultimi anni, tra le altre cose, ha passato un lungo periodo in disintossicazione, a causa della dipendenza dalla cocaina. Non solo non lo nasconde, ma ne parla apertamente, anche senza bisogno di domande esplicite a riguardo: “Ho passato due anni d’inferno, non mi riconoscevo più. Per fortuna in comunità a Cosenza ho imparato tanto” spiega. “Non c’era molto da fare, così mi ritrovavo a organizzare spettacoli teatrali per e con gli altri ragazzi che erano lì, come me, in attesa di riprendere in mano la loro vita”. La differenza tra il prima e il dopo la sente anche nelle piccole cose, come racconta in canzoni come Un palmo dal cielo, commovente nella sua semplicità: “A un certo punto, nella fase più buia, ho smesso di sognare, forse perché praticamente non dormivo più. Non ho sognato più niente per anni” dice a proposito della genesi del brano, che di fatto è un elenco di immagini oniriche. “Quando ho ricominciato, mi ritrovavo a sorprendermi dei miei stessi sogni e a scriverli su dei foglietti che chiudevo nel cassetto del comodino. Un bel giorno ho aperto il cassetto pieno di foglietti e ho deciso di trasformare quegli appunti in un pezzo”. Sicuramente in Tarantelle non mancano i banger, né i brani più ironici, come il singolo uscito oggi, Chi vuole essere milionario (con la partecipazione di Fabri Fibra), ma è soprattutto il Clementino più intimista a sorprendere e affascinare: il ragazzino ritratto in copertina, che girava per le battle di freestyle di tutta Italia alla ricerca della gloria e delle vibrazioni positive dell’hip hop, ora guarda ai suoi trascorsi con tenerezza. “Nel mio primo instore vennero tre persone di numero” ricorda ridendo. “È incredibile pensare che da allora io abbia fatto così tanta strada. Talmente tanta da ritrovarmi in un camerino con Pino Daniele che commentando questa o quella mia canzone mi diceva ‘Guagliù, vedi che questo pezzo tiene le pennellate mie’…”. (Continua dopo il video)
Sicuramente si sente più maturo, ed è perfettamente consapevole che un uomo della sua età debba approcciarsi al rap in una maniera diversa, rispetto alla generazione di trapper che sta emergendo in questo momento. In un modo il più personale possibile, soprattutto. “Altro che trap o rap, io voglio essere il solo e unico esponente del Clementismo” scherza. E poi torna serio: “Non sono contro i ragazzi che fanno trap oggi, ma contro la dittatura dell’apparenza. Tra loro c’è chi sa rappare e chi no, e bisogna avere il coraggio di dirlo e di fare dei distinguo. E non lo dico per invidia, anche perché so perfettamente che non posso fare quello che fanno loro: ho 37 anni, non voglio fare il giovane per forza”. Il che è un bene, perché in un periodo in cui l’hip hop italiano sembra più carente che mai di valori di base, poter contare su artisti che tengono la barra dritta sui fondamentali è confortante. Ad esempio, sulla questione rap vs tendenze fascistoidi e razzistoidi. “Non parlo quasi mai di politica, ma se mi chiedete la mia, dico che da buon meridionale non posso stare dalla stessa parte di Salvini” dichiara, senza troppi giri di parole. “Per me tutte le persone sono uguali, e non posso stare dalla parte di chi discrimina. Anzi, dirò di più: viva Jim Carrey!”. A buon intenditor…