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Speciale Sanremo 2019: quattro chiacchiere con Frenetik & Orang3, tra i migliori producer al festival

05-02-2019 Marta Blumi Tripodi

Speciale Sanremo 2019: quattro chiacchiere con Frenetik & Orang3, tra i migliori producer al festival

Spesso si tende a dimenticare che in gara (a Sanremo come in qualsiasi altra competizione musicale) non ci sono solo gli artisti sul palco, ma anche i loro produttori. All’estero è un concetto talmente radicato che, quando un album o un brano vincono un premio, viene ritirato da TUTTI coloro che ci hanno lavorato: è il caso dei Grammy Awards, in cui il Grammy viene recapitato a tutti i nomi inseriti nei crediti, dai produttori ai fonici, dai musicisti ai discografici. In Italia, tanto per cambiare, non è ancora così, ma Sanremo è un buon compromesso tra ciò che dovrebbe essere e ciò che è, perché i nominativi di chi ha creato un brano vengono sempre annunciati e segnalati in grafica. Qualcuno, ad esempio, avrà notato che il brano di Achille Lauro, Rolls Royce, risulta essere stato scritto, oltre che da Edoardo Manozzi (Boss Doms), anche da Daniele Mungai e Daniele Dezi, aka Frenetik & Orang3. Un duo di super producer romani che ha plasmato il suono di molti dei pezzi rap più iconici degli ultimi dieci anni, e che da sempre lavora a strettissimo contatto anche con Lauro, uno dei personaggi più attesi e controversi in questo Sanremo 2019. Non saliranno sul palco dell’Ariston, ma giustamente sono comunque arrivati in Liguria per supporto morale e per godersi il loro meritatissimo traguardo, l’ultimo di una lunga serie: hanno infatti pubblicato da poco il loro primo album da producer, ZeroSei, un lavoro davvero originale e curatissimo in ogni dettaglio che raccoglie eccellenze della capitale come lo stesso Lauro, Noyz Narcos, Coez, Gemitaiz, Lucci, Gemello, Martina May e tanti altri. Li incontriamo in un ristorante in riva al mare, seduti a uno dei tavolini all’aperto in pieno sole, dove tutto lo staff Sony (inclusi Achille Lauro e Boss Doms) sta pranzando e cerca di stemperare la tensione pre-performance. Tra tutti, sono i più rilassati e felici: essere qui, per un produttore, è già un traguardo enorme. (Continua dopo la foto)

Blumi: Arrivare prima o poi a produrre un brano per Sanremo era in qualche modo un obbiettivo, per voi?

Frenetik: Non è che fosse esattamente un obbiettivo, però sicuramente è una di quelle cose che ti fa piacere succedano: quando ti capita di guardartelo da casa, ci pensi. Almeno una volta nella vita ci tenevo ad esserci. Comunque credo che la vera differenza la faccia non tanto il fatto di andare a Sanremo, ma come ci arrivi. La cosa che ci rende orgogliosi è che siamo qui con un pezzo che ci rispecchia, non è una traccia fatta tanto per fare.

Orang3: Tra l’altro, Rolls Royce non era neppure un brano preparato per Sanremo. È nato due anni fa al Villaggetto, una villa al Circeo che avevamo preso con Achille Lauro in cui ci siamo chiusi per due mesi a lavorare. Molti altri ragionano all’opposto: “Oh, ragazzi, tra poco c’è il festival, dobbiamo assolutamente fare un pezzo sanremese!”. Per noi è stato molto più naturale.

B: E quando avete scoperto che c’era la possibilità di finire davvero in concorso, cosa avete pensato?

F: Per noi è stata una totale sorpresa, infatti eravamo anche abbastanza scettici.

O: Detto tra noi, io non ci ho creduto davvero finché non è uscito il comunicato ufficiale della Rai che annunciava Achille Lauro in gara tra i big! (ride) Anche perché tra una cosa e l’altra noi facciamo i produttori da quasi vent’anni, ormai, e in tutto questo tempo ci è capitato più volte che qualcuno presentasse alle selezioni una canzone prodotta da noi. Ci illudevamo per un po’, ma poi a Sanremo non ci arrivavamo mai. Forse stavolta ha vinto il fatto che in Rolls Royce non ci fosse nulla di costruito a tavolino per il festival.

B: Ecco: secondo voi, un producer hip hop come dovrebbe approcciarsi alla costruzione di un brano per un contesto del genere?

F: In realtà noi non ci consideriamo producer hip hop: ci piace molto e lo abbiamo vissuto da protagonisti per tantissimi anni, soprattutto io, ma amiamo fare musica in generale. Non ci poniamo la domanda, quindi: ci approcciamo allo stesso modo, qualunque sia il genere del brano a cui dobbiamo lavorare.

O: Esatto, non ci mettiamo mai dei paletti.

B: Da beatmaker, però, sapere che la propria produzione deve in qualche modo interagire con un’intera orchestra non dev’essere semplicissimo…

F: Ovviamente per quello c’è un intero team di lavoro: ci si confronta sulle varie parti, soprattutto sulla scrittura delle partiture degli archi, ma da quel punto di vista ci si affida anche molto alla persona che si occupa dell’arrangiamento per orchestra.

O: Diciamo che, dal nostro punto di vista, la parte più difficile sta proprio nello scegliersi la persona giusta per fare quel lavoro.

B: Sanremo di solito presenta una carrellata di brani con un andamento e una dinamica standard, non a caso definiti “sanremesi”, come se fosse un genere a sé: per intenderci, ballad con uno spettacolare cambio di ottava a metà minutaggio, un crescendo finale e un bell’assolo di archi…

F: Quella roba tipo “Miaaaaa, indipendentemente miaaaaaa, solo e soltanto miaaaaaa, adessoooooo tuuuuuu”… (canticchia un’ipotetica canzone inventata su due piedi, ndr)

B: Esattamente. Visti molti dei nomi in gara quest’anno, che di solito fanno tutt’altro, secondo voi c’è speranza di evolversi verso qualcosa di più contemporaneo?

F: Chiaro. Diciamo che qualche esponente di quella corrente c’è sempre, e sempre ci sarà.

O: È il festival della canzone italiana, d’altra parte. È giusto che ci sia anche quella sfumatura.

F: È una questione culturale: può piacerti o non piacerti, ma è nel DNA del nostro paese, come la pasta al sugo. Detto questo, però, siamo contenti di vedere che finalmente c’è una rosa di nomi un po’ diversa, anche se uno dei motivi è il semplice fatto che questi nomi, a differenza di altri, fanno classifica e non possono più essere ignorati.

B: Vedendo il festival da dietro le quinte, senza essere impegnati direttamente sul palco, come vi è sembrata l’atmosfera finora?

F: La cosa che mi ha colpito più in negativo è l’isteria di quei genitori che portano i bambini di sette anni a fare le foto coi cantanti, tenendoli in coda per ore e strattonandoli in mezzo alla folla. Proprio non me ne faccio una ragione. Quella più positiva, invece, è incontrare i tanti amici di una vita, che da sempre incontri in giro per i palchi e i concerti d’Italia e che sono qui per lavorare a vario titolo: tecnici del suono, addetti ai lavori, produttori, arrangiatori… Mi dà la sensazione che siamo tutti qui perché spacchiamo, e per spaccare.

B: Achille Lauro è uno dei nomi più inaspettati, attesi e controversi del festival. Secondo voi, ora della fine della settimana, il pubblico più nazionalpopolare sarà riuscito a digerirlo e decodificarlo?

F: Penso che i cambiamenti siano sempre un buon momento per aiutare la gente a riflettere. Quindi mi aspetto che ci siano molte persone che augureranno la morte ai genitori di Lauro, come spesso fa il pubblico italiano più becero, e chi invece scoprirà un artista eccezionale. Lui è sempre stato un po’ fuori dal coro: anche quando cerca solo di provocare, lo fa in maniera talmente personale e originale che diventa qualcosa di speciale. E la sua evoluzione è assolutamente spontanea, non è costruita.

B: Avete qualche aspettativa sul posizionamento in classifica? Magari puntate ad arrivare ultimi come Vasco nel 1982?

O: Nessuna aspettativa: per quanto ci riguarda, comunque vada abbiamo già vinto.

F: E comunque sì, dovendo scegliere meglio arrivare ultimi come Vasco e tutta una serie di altri pezzi che poi hanno fatto la storia! (Continua dopo il video)

B: Tornando a voi, avete appena pubblicato per Asian Fake il vostro primo album dai produttori, ZeroSei, un disco davvero molto vario…

F: Diciamo che il filo conduttore è stato soprattutto il nostro gusto personale. Di solito il nostro lavoro è più quello del sarto: quando arriva un artista in studio, cerchiamo di cucirgli addosso un vestito che possa stargli bene e che possa piacere anche a noi. In questo caso, invece, ci siamo concentrati soprattutto sull’abito che volevamo indossare noi.

O: Esatto. Un produttore bravo sa che il 99% delle volte sta lavorando al servizio di altri: capisce che non sta creando il proprio disco, ma quello di qualcun altro, e quindi deve mettere da parte l’ego. Con il nostro album, ovviamente, il problema non si poneva.

F: Il bello, però, è che alla fine siamo comunque riusciti a tirare fuori il meglio da ogni artista. Anche perché per noi lavorare con un rapper o un musicista non significa mandargli una cartella di beat, fargliene scegliere uno e registrarci sopra: ci piace entrare in studio e lavorare insieme.

O: Non ci piace mai imporre nulla, è sempre un lavoro di mediazione. Ci guardiamo negli occhi, proviamo ad aggiungere un giro di basso, a cambiare il synth, a fare qualche esperimento…

B: Siete riusciti a riunire tutti gli artisti che volevate coinvolgere o ne manca qualcuno?

O: Se avessimo voluto averli tutti, sarebbe stato un disco da ottanta tracce! (ride) Non abbiamo rimpianti, comunque, ma se proprio devo citare due artisti che avrei voluto avere nell’album e che invece mancano, direi Ketama126 e Bud Spencer Blues Explosion.

F: Anche Motta, secondo me. Però Motta non è di Roma.

O: Però ci vive! In fondo ZeroSei non è un album fatto solo da romani autoctoni, ma in generale da tutti coloro che a livello creativo hanno gravitato attorno a Roma. Volevamo fare una fotografia musicale della città in questi ultimi anni.

B: In questo momento Roma è sicuramente una delle città con il suono più originale in assoluto. Qual è il segreto?

F: Il disagio, che è quello che alimenta l’arte più vera, istintiva, di getto. In questo periodo non è una città facile da vivere, e quindi per riflesso genera un grande fermento artistico e una grande voglia di creare del bello.

O: Tirare fuori i lati migliori da una situazione problematica è positivo, fa bene a tutti, e funziona.

B: Vi farò una domanda che non bisognerebbe mai fare: avete un pezzo preferito dell’album?

F: Sì, certo! Per entrambi è Verme, fatto con un gruppo di ragazzi che si fanno chiamare Darrn, tutti più o meno classe 1999. È nato da una jam session in studio ed è stato bellissimo.

O: Ovviamente ci piacciono anche tutti gli altri pezzi, ma quello è stato speciale.

B: Data la mole e la quantità di ospiti, ci sarà uno sbocco dal vivo per l’album? Riuscirete a portarlo in tour?

F: Chi lo sa! Non vogliamo sbilanciarci, ma pensiamo di sì. Anche egoisticamente, perché ne abbiamo un sacco di voglia.

B: Tornando a Sanremo, da dove guarderete le varie serate?

F: Da casa, e poi finita la diretta usciremo con Lauro e gli altri a festeggiare. Anzi, abbiamo già inziato a festeggiare, è due giorni che andiamo avanti così! Anche perché l’altro ieri è stato annunciato il triplo platino di Davide, il brano di Gemitaiz prodotto da noi, quindi di motivi ne avevamo parecchi.