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Speciale Sanremo 2019: Ghemon e il suo manager ci raccontano il percorso verso l’Ariston

06-02-2019 Marta Blumi Tripodi

Speciale Sanremo 2019: Ghemon e il suo manager ci raccontano il percorso verso l’Ariston

Per alcuni arrivare al Festival della Canzone Italiana è semplicemente un colpo di fortuna; per altri, invece, è l’apice di un lungo percorso fatto di scelte, cambi di rotta, esperimenti, valutazioni, aggiustamenti. E’ ad esempio il caso di Ghemon, che da anni è ormai impegnato a cercare di fondere insieme tutte le possibili sfumature della black music, dal rap al canto, dal beatmaking alla musica strumentale, nella creazione di canzoni uniche e assolutamente originali. Anche dal punto di vista dell’esecuzione, negli ultimi anni ha fatto passi da gigante: pur nascendo come rapper, la sua padronanza del cantato è ormai totale, tanto che durante la sua esibizione con Rose viola c’è stata una vera pioggia di tweet e messaggi di apprezzamento sui social, che elogiavano in particolare la sua gestione della voce, la resa emotiva, l’ottima gestione del palco. Insomma, Ghemon – e tutto il suo staff, a partire da Macro Beats e SMC, da sempre al suo fianco in questa avventura, e Carosello e Artist First, due importanti realtà discografiche che da ora in avanti si occuperanno di accompagnarlo verso l’infinito e oltre – è l’esempio perfetto di come l’impegno, quando è accostato al talento, sia una garanzia di grandi risultati. Proprio per questo, abbiamo cercato di farci raccontare un po’ più a fondo la strada che ha intrapreso, e soprattutto la direzione in cui lo condurrà. Incontriamo il suo manager, Filippo Giorgi, nella hall di uno dei tanti alberghi a cinque stelle che fungono da appoggio per gli incontri con la stampa degli artisti in gara a Sanremo, mentre Ghemon, che ci raggiungerà di lì a poco, è ancora impegnato in una batteria di interviste a ripetizione. (Continua dopo il video)

Blumi: Come ci siete arrivati, all’idea di presentare un brano a Sanremo?

Filippo Giorgi: In realtà Gianluca ha sempre avuto dentro di sé questa voglia di provare a confrontarsi con il festival. Quest’anno avevamo un brano che secondo noi poteva essere adatto, e oltretutto anche il momento sembrava quello buono: da anni stiamo costruendo un percorso discografico che va in una certa direzione, che secondo noi sta funzionando molto bene. Da totali neofiti, abbiamo chiesto dei consigli a una realtà che ne sapesse più di noi, per capire se effettivamente poteva essere una buona idea andare a Sanremo proprio ora.

B: A sentirlo dall’esterno, Rose viola non sembra il tipico pezzo costruito ad hoc per Sanremo, e questo è anche il suo bello…

F.G.: Beh, lui è un artista che ha le idee molto chiare: una volta che ti fa ascoltare una canzone è come se ti presentasse sua figlia, è così com’è e non la puoi cambiare, o la ami o no. E nel nostro caso, ovviamente, la amiamo.

B: Leggenda vuole che abbiate provato a presentare anche Un Temporale, due anni fa, e che fosse stata scartata…

F.G.: Sì, è vero. Ma non abbiamo fatto dei ragionamenti tipo “Questa canzone non ha funzionato, proviamo con una tipologia diversa”, tant’è che anche Rose Viola è al 100% nello stile di Ghemon.

B: A che tipo di difficoltà va incontro una produzione che viene dal mondo dell’hip hop underground e deve approcciarsi con un pachiderma come il Festival di Sanremo?

F.G.: Quando siamo venuti qui l’anno scorso, per partecipare alla serata dei duetti con Diodato e Roy Paci, eravamo un po’ spaesati da tutto il contesto, perché eravamo solo io, Ghemon e Macro Marco e non avevamo mai partecipato. Se quest’anno non avessimo avuto il team che ci hanno messo a disposizione Carosello e Artist First, ovviamente sarebbe stato tutto molto più difficile, da qualunque punto di vista. Dal versante organizzativo, hanno fatto davvero la differenza. E sono anche stati bravissimi a descriverci nel dettaglio tutto quello che sarebbe successo, dai meccanismi alle possibili insidie, quindi siamo arrivati qui già preparati a tutto.

B: Ed è proprio come ve lo raccontavano?

F.G.: Esattamente: è una macchina da guerra, con una tabella di marcia precisa al secondo e nessun tempo morto. L’insegnamento più grosso che mi porterò dietro da Sanremo 2019 è proprio questo: per partecipare ci vuole una struttura perfettamente oliata, preparata spiritualmente e logisticamente. Anche solo per mettere in ordine tutte le interviste in maniera veloce ed efficiente, in un unico luogo, in modo da riuscire ad incastrare i vari impegni con le prove e non sovraccaricare l’artista in vista della diretta, ci vuole un lavoro titanico.

B: Quante persone ci vogliono, per finalizzare la presenza di un artista sul palco dell’Ariston?

F.G.: Bisogna distinguere tra la performance e il lato organizzativo. Alla performance lavora Ghemon, il maestro Valeriano Chiaravalle che dirige l’orchestra, Tommaso Colliva che tradizionalmente produce i suoi dischi, la stylist, la vocal coach, il truccatore… Per quanto riguarda la gestione dell’organizzazione e dei rapporti con i media ci sono io, che mi occupo di supervisionare e di curare che Ghemon stia bene e abbia tutto ciò che gli serve, Lorenzo Sito, Federica Moretti, Dario Giovannini, Claudio Ferrante di Carosello ed A1 che si occupano degli aspetti discografici, e Francesca Casarino e Beatrice Capitanio per l’ufficio stampa. Il rapporto umano che si crea è molto bello, perché sei sempre talmente a stretto contatto che finisci per diventare davvero una squadra unita, anche con persone che magari prima non conoscevi così bene.

B: Che consiglio daresti al team di un artista hip hop che, come voi, vuole provare ad andare a Sanremo preservando la sua integrità artistica e personale?

F.G.: Di farsi consigliare da chi ne sa: la cosa più importante, in questo contesto, è rimanere umili e non vergognarsi di chiedere se ci sono delle informazioni di cui non si è a conoscenza. È importante non fare il passo più lungo della gamba, in qualsiasi circostanza.

B: A conti fatti, da manager, è un’esperienza che rifaresti?

F.G.: Beh, questo bisognerebbe chiederlo all’artista. Personalmente, però, è un grande sì! Finora si è rivelata un’esperienza bellissima, che magari fisicamente è sfiancante, ma ti arricchisce davvero tanto.

Nel frattempo ci raggiunge anche Ghemon, che ha terminato le sue interviste, ma già deve scappare per una diretta radiofonica, a riprova del fatto che a Sanremo davvero non esistono tempi morti. E’ una giornata particolarmente densa, per lui: dopo un pomeriggio di incontri fittissimi, lo aspetta l’esibizione sul palco dell’Ariston (sarà di riposo stasera, in attesa dei duetti di domani al fianco dei Calibro 35) e poi anche il dopofestival, dove si presenta con una cover di un brano intensissimo e vocalmente complicato di Pino Daniele, Anna verrà. Proprio per questo, dopo i saluti e gli abbracci di rito, gli rubiamo solo pochi minuti. (Continua dopo il video)

B: Innanzitutto, com’è andato il debutto?

Ghemon: Bene, devo dire! Sembra una banalità, ma il fatto di aver suonato in contesti logisticamente più svantaggiati rispetto al festival ti dà una marcia in più. Parlo della jam dove sei il centesimo mc a suonare e il pubblico è a un metro da te, o di essere abituato a doverti ricordare strofe da 3.000 parole al secondo, o di ritrovarti sul palco di un locale minuscolo dove manca il fonico, il microfono è rotto e le casse spia non ci sono… Tutto questo è utilissimo a toglierti il dubbio di farcela a Sanremo: se ce l’hai fatta altrove, puoi farcela ovunque! (ride)

B: In effetti, come darti torto!

G: La cosa più difficile, paradossalmente, è stata l’attesa, che è snervante e rischia di toglierti la concentrazione: non vedevo l’ora che arrivasse il mio turno. Ma quando è arrivato ha prevalso la gioia e la voglia di metterci tutta la grinta del mondo. Ho cercato di focalizzarmi soprattutto sul fattore “qui e ora”, e quindi di pensare al teatro e alle persone che avevo davanti, e non alla percezione delle persone a casa, che ovviamente è impossibile mettere tutte d’accordo. Quando sei un debuttante a tutti gli effetti, come me in questo caso, o lo affronti con una grande incoscienza e leggerezza (e ci può stare), oppure cerchi di trarre insegnamento da tutto quello che hai fatto prima, con la consapevolezza che ce la puoi fare anche stavolta: e così ho fatto io.

B: Era da tanto che desideravi cimentarti con il palco dell’Ariston, vero?

G: Esatto, ma anche perché ho trovato finalmente la chiave giusta per esprimermi. La cosa che mi faceva più soffrire, negli anni passati, era di non riuscire a trovare un vero equilibrio tra il rap e il canto: per me erano entrambe cose importantissime e dovevano andare di pari passo, anche a livello di sound. Ora finalmente credo di esserci riuscito, al punto che adesso ho di nuovo un sacco di voglia di fare rap, perché finalmente mi sento libero nel maneggiare entrambe le componenti: mi diverto di nuovo, di fatto.

B: Finora qual è l’aspetto più inatteso di questo festival, quello che guardandolo da spettatore non ti saresti mai immaginato?

G: Il fatto che l’80% dei concorrenti sono simpatici e solidali, anche quelli che magari in apparenza sono più lontani dal mio mondo. Per dire, Anna Tatangelo non c’entra niente con il mio percorso, ma ho scoperto che è molto più empatica di tante altre persone che magari sono più vicine a me come background e mentalità. Forse è anche il fatto che il rinnovamento di quest’anno ha portato anche concorrenti più giovani ed entusiasti, e quindi si è creato un gran bel clima.

B: Tra le altre novità di quest’anno c’è anche il fatto che non c’è più una corsa alla vittoria: in questi giorni, girando per Sanremo, ho sentito dire che un sacco di gente spera quasi di arrivare tra le ultime posizioni, perché pare porti fortuna… Tu come la vedi?

G: In realtà non ho aspettative particolari, però ad essere sincero preferirei comunque essere tra i primi, potendo scegliere! (ride) Chi se ne frega della fortuna, in fondo: almeno mi resterebbe il ricordo di essermi classificato bene.