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Myron & E: l’intervista

24-11-2013 Marta Blumi Tripodi

Myron & E: l’intervista

Se seguite le vicende e le evoluzioni del roster Stones Throw, probabilmente avrete già sentito nominare Myron & E: sono l’ultimo acquisto soul dell’etichetta (e considerando che i due precedenti sono stati Aloe Blacc e Mayer Hawthorne, è molto probabile che sentiremo ancora parlare a lungo dei ragazzi). Il loro album di debutto, Broadway, in realtà non è propriamente un album di debutto, nel senso che i due hanno fatto di tutto prima di unire le forze: Myron è stato un ballerino e attore per la gran parte degli anni ’90, per poi riciclarsi in corista, mentre E è stato un dj, un produttore e un songwriter, e solo alla fine si è scoperto cantante. Ad accompagnarli, sia nelle registrazioni che in tour, ci sono i Soul Investigators, una fenomenale band soul-funk finlandese che ha il ritmo nel sangue ma a vedersi fa un po’ impressione, perché è formata unicamente da vichinghi biondi e cattivi alti due metri: per i fan di True Blood, immaginatevi tanti Eric Northman dall’espressione impassibile alle prese con un rhodes o con un trombone. Il che (soprattutto per le signorine) non è certo l’unico motivo per cui vale la pena di andare a vederli live: anzi, il principale è che trattasi di uno di quei rarissimi casi in cui un progetto suona molto meglio dal vivo che su disco. Li abbiamo incontrati nel backstage della loro data milanese al Biko – un locale che vi suggeriamo di tenere d’occhio, se amate la musica black, perché propone sempre dei concerti meravigliosi – e tra una risata e l’altra, siamo stati conquistati dalla loro travolgente simpatia. Questo è il resoconto della nostra chiacchierata con loro, ma potrete ascoltarla in versione track by track anche su Babylon (Rai Radio2) e leggere qualche curiosità in più su di loro sul portale di RedBull.

Blumi: Non siete più giovanissimi e avete fatto un sacco di gavetta prima di formare il vostro duo e diventare parte della famiglia Stones Throw. Stando a quello che raccontano molti discografici, però, oggi come oggi se non vieni scoperto da giovane, non verrai scoperto mai più. È come se ci fosse una sola possibilità di diventare famosi, ma voi siete chiaramente la prova vivente del contrario…

Myron: Innanzitutto, ci tengo a specificare che ho solo 25 anni! (ride come un pazzo: ovviamente non è vero, soprattutto considerando che ha cominciato a lavorare nello showbusiness fin dai primi anni ’90, ndr) Mi piace pensare che abbiamo dimostrato che queste persone hanno torto, in effetti. Il segreto per avere successo in un’età più avanzata è avere una mente aperta, reinventarsi, non avere paura delle sfide che si presentano. Prendi ad esempio i Tony! Toni! Tone!, Raphael Saadiq ha saputo reinventarsi completamente e ora è un pilastro del movimento soul: certo, era famoso anche all’epoca, ma adesso è riuscito a cambiare del tutto la percezione che la gente aveva di lui. Quello che ci sta succedendo adesso non era nei piani, ma d’altra parte non sono più interessato a fare le cose che avrei voluto fare vent’anni fa, quindi ben venga. C’è sempre spazio per emergere, basta essere se stessi e non dare troppo retta a quello che gli altri vorrebbero farti fare. Tipo costringerti ad essere troppo giovanile.

E: Un sacco di media si rivolgono solo a un’audience molto giovane, e questo complica le cose, ma là fuori c’è un vasto pubblico che vorrebbe ascoltare musica che non sia fatta da bambini per bambini: ed è esattamente qui che arriviamo noi. E come noi ci sono tante altre persone che fanno lo stesso. Penso a Charles Bradley, un grande, che lavora sodo ed è un uomo ben più anziano di noi…

M: Quando sei in tour vieni a contatto con un sacco di musica che non riesce mai ad arrivare alle radio pop o in tv. Finora abbiamo visto moltissimi gruppi che non avevamo mai sentito e probabilmente non sentiremo mai più, almeno a un livello mainstream. È una cosa che ti apre la mente e che ti fa pensare parecchio.

B: La vostra musica è molto diversa dall’R’n’B e dal soul moderni: gli arrangiamenti vocali sono semplici e diretti, e non sentite mai il bisogno di strafare con vocalizzi e ghirigori solo per dimostrare che siete in grado di cantare. Allo stesso tempo, avete riferimenti vintage ma non per questo suonate vecchi. Da dove viene questa scelta di sound?

E: Molto dipende dalle influenze che abbiamo avuto nel corso della nostra vita. Entrambi siamo stati parte del movimento hip hop, e entrambi abbiamo ascoltato molto new jazz e swing crescendo, perciò quello che facciamo è un buon mix di tutte queste suggestioni. È soprattutto la nostra formazione hip hop a fare la differenza, comunque: non credo esista un altro gruppo soul che abbia quel tipo di background.

M: Personalmente sono un grande fan di Amy Winehouse (riposi in pace), e lei faceva musica a modo suo. Ricordo una sua canzone in cui c’è un trombone che porta avanti la linea di basso con una specie di ritmica ska. (la canticchia, ndr) È bellissimo, perché suona vintage ma comunque autentico; nel senso che suona vecchio, ma non replica esattamente quello che facevano negli anni ’60. Di questi tempi molti cercano di creare una fotocopia precisa dei suoni vintage, ma il risultato è davvero troppo identico. Personalmente, se voglio ascoltare quel tipo di musica, mi ascolto gli originali: i Temptations, Martha Reeves & The Vandellas, Smokey Robinson. È roba che è già stata fatta, e fatta come la facevano loro ti dà una sensazione completamente diversa, che non potrai mai replicare in una produzione dei giorni nostri. Bisogna sì farsi influenzare dai suoni del passato, ma senza strafare: noi abbiamo preso una decisione consapevole, quella di andare in un’altra direzione, pur tenendo a mente quel tipo di riferimenti. E sembra che alla gente piaccia, o almeno così dicono!

B: Poco fa E parlava della vostra militanza nella scena hip hop: qual è il vostro rapporto con questa cultura?

E: Entrambi abbiamo lavorato a lungo nei tour dei Blackalicious: io ero il dj, mentre Myron faceva il corista. Anche prima, però, eravamo grandi fan della musica rap: io stesso ho prodotto numerosi dischi in passato. È stata un’enorme influenza nella mia vita.

M: Sono cresciuto a Los Angeles, South Central, e all’epoca nel quartiere si ascoltava moltissima musica dai testi gangsta, ma dal sound sicuramente hip hop. Prima di diventare un cantante, oltretutto, ero un ballerino, quindi ero molto attento a quel tipo di ritmi. A furia di ascoltarli continuamente ci sono caduto dentro anch’io, e così eccoci qui!

B: E come siete venuti a contatto con la Stones Throw, una delle etichette simbolo per il rap dell’ultimo decennio?

E: Il nostro primo singolo con i Soul Investigator è uscito con un’etichetta finlandese che è una sussidiaria della Stones Throw, nel senso che in Europa era prodotto da loro, mentre in America è la Stones Throw che fa uscire fisicamente il disco. Un bel giorno Peanut Butter Wolf era in tour in Finlandia, è andato nello studio del nostro discografico e ha ascoltato l’intero disco, che ai tempi non era ancora stato pubblicato. Gli è piaciuto moltissimo, e da lì è iniziato tutto.

B: Ecco, a proposito dei Soul Investigators: la vostra è stata una specie di relazione a lunga distanza, perché mentre scrivevate il disco loro stavano in Finlandia e voi in California. Secondo voi il disco sarebbe suonato diverso, se lo aveste scritto insieme nello stesso posto?

M: Assolutamente sì. Anzi, avrei paura a realizzare un disco in un’altra maniera, a questo punto, perché mi sono trovato davvero bene! Siamo comunque andati in Finlandia un paio di settimane a registrare, ma l’idea di fare tutto a distanza mi è piaciuta molto. Anche perché così eravamo costretti ad andare regolarmente in Europa, cosa che ha reso la lavorazione dell’album molto più interessante ed eccitante, per noi!

E: Inoltre credo che scrivere a casa nostra, con i nostri tempi e le nostre comodità, abbia reso tutto più semplice. Sono d’accordo con Myron: non vorrei mai registrare il disco in nessun altro modo.