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Intervista a Dargen D'Amico

06-04-2010 Filippo Ugoka Papetti

Intervista a Dargen D'Amico

Cosa dire di Jacopo D’amico in arte Dargen? Tutto. E il contrario di tutto. E il contrario del contrario di tutto. E il contrario del contrario del contrario: ossia niente. State per leggere un appassionato botta e risposta in riferimento a “Musica Senza Musicisti”, che più di un semplice disco è la testimonianza pulsante di uno di quegli autori di musica italiana che verranno ricordati nel tempo. Per tutto il resto vi rimando alla recensione dell’album.

Ugoka: Ascoltando “Musica Senza Musicisti” appare subito chiara una cosa: hai portato il rap italiano ad un punto di rottura. Eri cosciente della portata innovativa del tuo lavoro mentre lo stavi registrando?

Dargen: Io non ho portato avanti le canzoni pensando allo stato del rap italiano, tantomeno a romperlo. E il rap, se ho capito bene, è il genere più elastico del secolo. Non esiste rottura nell’elasticità del rap.

U: Quindi credi che si possa portare ancora più avanti? Leggevo che il tuo prossimo disco sarà molto diverso dal precedente, come ti stai muovendo?

D: In realtà sto lavorando a diversi progetti. Per quanto riguarda “Di VIzi Di Forma Virtù” sto lavorando a canzoni che tra loro non si assomigliano per nulla. Quelle meno assimilabili all’interno di un progetto comune le eliminerò temporaneamente, le ascolterò da solo finchè non mi stancheranno. In teoria il rap può espandersi fino a chiudere il buco dell’ozono perchè il rap è la vita di oggi. Diciamo che, per utilizzare una metafora economico-politica, siamo ancora alla Cantieri Riuniti Milanesi del rap.

U: Quindi l’hip hop nonostante tutto è ancora vivo? Tu per esempio perchè fai rap, sembra una domanda scontata, ed in fondo lo è.

D: Non bisogna avere timore delle cose scontate. Io spesso prendo in considerazione solo quelle, specie nell’abbigliamento sportivo. Faccio rap, brevemente, perchè scrivere mi aiuta a non impazzire e perchè fin da giovanissimo ho ascoltato quello.

U: E quand’è che hai iniziato a volerlo fare?

D: E’ quasi impossibile risponderti, non lo so. Ho cominciato a scrivere rime alle medie, diciamo che ho iniziato a capire che esisteva una scena italiana e che c’era uno slang ben definito da utilizzare attorno ai quattordici anni. Ho cominciato nel periodo in cui a Milano c’era gran vita nei centri sociali e il ragga era al top. Veramente bei tempi.

U: Giravi già con il Guercio e Fame o li hai incrociati successivamente?

D: Il Guercio l’ho conosciuto a quindici anni, Fame a diciassette.

U: Beh, col senno di poi possiamo dire che tutto il buono che si diceva di voi ai tempi è stato ampiamente ripagato…

D: Non è che si dicesse poi tutto questo bene.

U: Come no!? Eravate sulla bocca di tutti e “3 Mc’s Al Cubo” nonostante sia uscito in un periodo non proprio florido ha ricevuto parecchi consensi. Cos’hai fatto dal periodo dello scioglimento delle Sacre Scuole ad oggi? Girava voce che avessi smesso…

D: Non ricordo cosa facessi, le solite cose. Io smetto spesso, in quel caso ho smesso nel passaggio tra ragazzo a uomo, non è un periodo facile per l’essere umano.

U: Appunto. Hai detto poco fa che scrivi per non impazzire, quindi anche questo non dev’essere un periodo facile. Riguardo al tuo rap: è più un riflesso istantaneo del tuo vivere o è frutto di un approccio più meditato?

D: Appartengo a quelli che non hanno sviluppato il cervello linearmente, mi faccio sempre domande senza risposta. Non sto benissimo in alcuni periodi, poi mi convinco che qualcuno ha le risposte che cerco, ma è morto. Il mio rap avrà dentro questo.

U: In una vecchia intervista ad Hotmc dicevi che tecnica e contenuto vanno di pari passo, ora, tenendo conto che il contenuto del tuo rap è la rappresentazione di quello che ti accade durante il giorno è meglio una vita difficile che sfocia nell’espressione artistica o una vita piatta senza niente da dire?

D: Ipotizzando di vivere in un paese in cui non arriva l’aranciata amara Sanpellegrino, meglio una vita piatta. Ma dopo che scopri l’aranciata amara vuoi provare tutto il resto e allora diventi un poeta metropolitano. A me è successo così. Io non separo la tecnica. Un calzolaio non separa la suola dalla risolatura. Tu vai a ritirare le scarpe e la suola risulta messa male, un lavoraccio diciamo. “Eh ma sapesse che tecnica ho utilizzato, ti risponde…”

U: Quindi nonostante tutto “evviva la vita”? “Analità Universale” vuol dire questo?

D: Non esattamente, vuol dire: la vita ha delle grosse mancanza nei nostri confronti, vediamo di venirci tutti incontro in libertà e condividiamo l’affitto di una casa al mare. Cucina chi è capace.

U: Un altro aspetto interessante del tuo darti all’ascoltatore è che metti i tuoi difetti in primo piano, quasi a sgretolare il machismo che l’hip hop si porta dietro praticamente da sempre, come mai?

D: Sono in qualche modo portato a caricare gli aspetti che risultano equilibrati tra i due sessi, vedila come una via per leggere il senso della vita, i grigi della vita, non o il bianco o il nero ma B/N. Senza debolezze un uomo è solo barba, riviste da uomo e qualcos’altro che adesso non ricordo.

U: A proposito di barba. Come mai quest’ossessione per i capelli? Ha molta importanza per te l’esteriorità in generale?

D: Non è che quello che scrivo debba necessariamente significare la stessa cosa nella vita. Non avendo ossessioni nella vita me ne creo nelle canzoni, così per vivacizzare un’esistenza spesso noiosa. Allargando il discorso: i capelli sono il simbolo dell’esteriorità, sono sempre mataforici. Io parlo sempre per metafore, perchè sono timido e la metafora ti permette di dire ora una cosa che l’ascoltatore capirà quando tu sei già a casa e hai staccato il telefono. Non sto lì a guardare le parole che tornano spesso nelle mie canzoni, ma immagino ne sia pieno come è pieno di rime. Sono la stessa cosa, sono rime. Capelli di questa fa rima con capelli dell’altra, sono ponti.

U: Nei tuoi testi le rime non sono necessariamente ordinate, hai oltrepassato lo schema metrico classico del rap. Cos’hai da dire a riguardo? Volevi comunicare a livello tecnico quello che in parallelo stavi dicendo con le parole? Sempre in riferimento alla frase di prima riguardo tecnica e contenuto.

D: Se volessi essere sincero sarebbero almeno una ventina le motivazioni. Non lo sarò solo per farla breve. La ricorrenza di un dato suono in un dato punto, per esempio la rima sul rullante, può aiutarti a scrivere, può stimolare il tuo spirtito di adattamento. Ti può mettere anche nelle mani del caso, e, se il caso è magnanimo, potrebbe capitarti di scrivere qualcosa che non ti saresti mai aspettato. Però la ricorrenza ciclica può anche limitare l’ampio respiro di un pensiero che non vuoi filtrare e aggiustare. La ciclicità alla lunga è nemica del tuo cervello. Il motivo più forte che mi porta a chiudere le rime non sempre sul rullante però non è la mia fantasia, bensì quella di chi ascolta. Sviluppare concetti chiudendo le rime dove non se le aspetta tiene attento l’ascoltatore, lo incuriosisce. Lo stanca anche, e per questo ogni tanto ne chiudo un paio sul rullante. In definitiva sì, Analità Universale anche nello schema ritmico.

U: Sei stato influenzato da qualche lettura in particolare?

D: In particolare no, ma sicuramente Calvino è senza limiti.

U: Ascoltando “Signora del lago” mi è venuto in mente Proust…

D: Non ho ancora letto “Alla Ricerca Del Tempo Perduto”, se a quello ti riferisci, ma è un collegamento stimolante il tuo.

U: Ho letto che ti piace dare delle riletture i tuoi vecchi brani, come mai?

D: A te capita di riguardare vecchie foto? Ecco, a me non capita perchè per motivi vari non ne ho molte, così riguardo vecchi brani. Le sensazioni sono simili.

U: Riguardo alla parte musicale dell’album: è stata un’esigenza fare tutto da solo?

D: No, solo sono molto pigro. E non sono tutte mie, ci sono anche 2Fingerz, Dj Phra, Frankie Gaudesi e Steno Fonda. In effetti è vero: non è che sia andato lontano a cercare le musiche che non mi sono fatto da solo. Ma mi trovo a mio agio con i miei amici, sono affettuosi. Non è che li stimi esageratamente a livello artistico ma mi ci trovo bene. Per dirti: sto lavorando con i 2Fingerz al nostro progetto comune ma tutto è nato dall’affetto e non dalla stima artistica. Anzi, spesso in studio ci deridiamo a vicenda, ma tutto in un clima gioioso tipo scartando pacchi natalizi.

U: Puoi darci qualche anticipazione?

D: Il nome della band è “?”, questo è quello che ti posso dire. Abbiamo deciso di chiamarci così dopo l’ennesima volta che non si riusciva a scegliere un nome. “?” è nato dal punto di domanda che posizionavamo nell’ordine del giorno sulla riga “dobbiamo scegliere un nome”. L’unico problema è la pronuncia: si pronuncia qualcosa come “mhhh?”, del tipo “mhh? Hai detto qualcosa?”

U: A proposito di amici, in questo caso vecchi amici:cosa ne pensi di quello che sta facendo il Club Dogo? Ti piace? Sei ancora in contatto con loro?

D: Sì, i Dogo mi piacciono, però l’ultimo cd non lo conosco bene. E’ impossibile che non piacciano. Non ci frequentiamo più, sia a livello di rime che personale, ma poco importa, perchè il primo amore non si scorda mai…

U: Chiudiamo in bellezza, vuoi aggiungere qualcosa?

D: Si, nel limite del possibile date sempre una seconda possibilità. Anche una terza. Quindi: se dovessi aver buttato lì qualche risposta, migliorerò alla prossima.