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Silla & Weirdo: l’intervista

26-01-2020 Riccardo Primavera

Silla & Weirdo: l’intervista

Nuovo anno, nuovo capitolo. Il dynamic duo del rap underground italiano, composto da Silla e Weirdo, inaugura il 2020 con la pubblicazione di Dioscuri in T uxedo. Entrambi membri del collettivo Mad Soul Legacy, il rapper e il producer milanesi proseguono il loro percorso caratterizzato da scelte raffinate il termini di sample e liriche, alfieri di un minimalismo moderno che coincide con un elegantissimo “less is more”. Ascoltare per credere: Dioscuri in Tuxedo è un viaggio noir con due ciceroni d’eccellenza, che abbiamo intervistato a qualche giorno dall’uscita del progetto.

Riccardo Primavera: A neanche un anno da Metamorfosi, tu e Weirdo tornate con un nuovo progetto. Vista la natura peculiare della tua scrittura e in generale della vostra produzione, si tratta di una tabella di marcia impressionante. Come e quando nasce Dioscuri in Tuxedo?

Silla: Concordo, in effetti il nostro ritmo produttivo da Metamorfosi non si è mai arrestato. Io sono molto veloce a scrivere, ho sempre qualche spunto tra le note del telefono, nomi, barre, assonanze, titoli di possibili pezzi; una volta che un beat mi prende vado come un treno. Il merito di questa produttività lo do però soprattutto a Weirdo; secondo me sta vivendo un periodo di maturità artistica eccezionale. Molti dei suoi beat sposano il mio gusto in fatto di atmosfere e sembrano fatti apposta per le mie barre, quindi già a fine estate mi sono trovato con una discreta quantità di materiale al quale lavorare. Io e Patrick abbiamo pensato così ad una serie di Ep con meno tracce rispetto ad un disco o un mixtape, ma densi a livello contenutistico e curati, per mettere definitivamente la nostra bandierina nella scena. Dioscuri In Tuxedo nasce cosi, come il primo di una serie di Ep identificativi del nostro suono, vero Rap D’Essai.

Weirdo: Sicuramente non è facile essere produttivi e al tempo stesso mantenere una qualità elevata. Devo dire che il sodalizio con Silla è nato in un momento di grande maturità artistica per entrambi. Inoltre avere gli stessi gusti per questo tipo di suono, che noi chiamiamo “crema”, sicuramente aiuta. C’è grande affinità pur lavorando per la maggior parte del tempo separatamente, ognuno è conscio delle capacità dell’altro e ci lasciamo carta bianca, consapevoli di questa intesa molto naturale. Spesso con molti artisti capita di dover mandare varie tipologie di beat per offrire scelte diverse. Quando invece scelgo un sample per Luca (Silla, ndr) vado a colpo sicuro, e ultimamente tra l’altro mi sta aiutando anche lui nella ricerca e questo mi facilita decisamente il lavoro. Posso svelare infatti che almeno metà dei beat per il prossimo progetto sono già pronti e mi piacciono davvero tanto.

R.P.: Altra domanda d’obbligo: cosa significa il titolo del nuovo progetto?

S.: Dioscuri In Tuxedo è un manifesto che ricalca il lavoro fatto con Metamorfosi (Castore e Polluce, i Dioscuri appunto, erano tra gli Argonauti, ed Argonauta è uno dei pezzi cult del disco): è un’estetica, l’unione di 2 persone che lavorano in simbiosi per un obbiettivo e che vestono d’eleganza la propria arte.

W.: Quando abbiamo iniziato a pensare al titolo del progetto io e Luca ci siamo detti che sarebbe servito qualcosa di semplice ma di impatto. Dopo diverse proposte Luca mi ha detto che gli avrei bocciato di sicuro questo titolo (ride) perchè in effetti semplice e immediato non è. Mi è piaciuto però molto il significato, che credo rappresenti benissimo l’essenza del lavoro che stiamo facendo insieme. D’altronde la nostra musica non è di facile comprensione sin dal primo ascolto, come un buon vino ha bisogno di tempo per essere gustata appieno.

R.P.: L’arte rappresenta una forte d’ispirazione notevole nella tua produzione, soprattutto quella classica. Qual è invece il tuo rapporto con la produzione artistica attuale? Cosa trovi in quella classica che ti spinge a viverla come “musa ispiratrice” della tua musica?

S.: Amo l’arte classica e sicuramente permea la mia estetica; il mio brand Vestalis ad esempio nasce da questo tipo di influenze, ma rimane prevalentemente più una scelta artistica che una volontà di cesura col presente. Lavoro da 4 anni in un museo d’arte contemporanea e ho avuto modo di studiare tanto anche il secondo dopoguerra e il presente; potrei citarti decine di artisti che mi piacciono tantissimo. Quando ho tempo libero scrivo, mi alleno, vado per mostre e gallerie, anche da solo. Ho molti colleghi che hanno studiato arte contemporanea, sono molto più preparati di me e per questo amo discutere con loro; altri invece sono proprio artisti e mi piace immergermi nella loro creatività perchè in un modo o nell’altro so che nutre anche la mia. L’arte non sarà più solo catarsi come lo era già per gli antichi ma sarà “l’ultimo nostro baluardo quando la civiltà della tecnica avrà fallito” (Emanuele Severino, filosofo scomparso in questi giorni).

R.P.: Nelle tue barre fai convivere con una facilità disarmante i riferimenti classici e aulici a delle atmosfere e dei riferimenti tipicamente street, densi di significato. All’apparenza sembrerebbe quasi un paradosso: come fai a tenere in piedi questo delicato equilibrio?

S.: Ti ringrazio per questa tua osservazione perchè è quello che voglio fare. Mi rendo conto di avere una scrittura complessa; semplicemente non amo scrivere a tema, mi risulta pedante e noioso. Mi piace scrivere per immagini e mischiare tutto e in questo contenitore farti trovare tante mie sfumature; la barra ignorante, il mio vissuto più street della prima età adulta, il mio punto di vista più maturo e critico verso la realtà che mi circonda.

R.P.: Per Dioscuri in Tuxedo avete optato per delle atmosfere smooth, a tratti noir, che insieme alle liriche creano una visione quasi cinematografica. Tu e Weirdo date vita a delle inquadrature che partono con un focus su di te, per poi spostarsi su dettagli che vi circondano, rendendoli incredibilmente vividi. Come ti approcci alla scrittura di ogni pezzo? Hai una visione stilistica dell’insieme del progetto quando scrivi?

S.: Si per questo primo episodio abbiamo optato per la crema (ride); in effetti a parte un paio di episodi più dritti, il disco scorre sul velluto. Generalmente mi faccio ispirare dalle atmosfere del beat e da li inizio a capire che taglio dare al pezzo; per il resto ho già risposto sopra, non do un tema al pezzo perchè non è generalmente il modo in cui mi piace approcciare sta roba. In una strofa voglio eviscerare più aspetti della mia realtà creando però un collante tra tutto che del resto rimane la cosa più difficile da fare. Per quanto riguarda la progettualità, una visione d’insieme la riesco a dare a disco inoltrato; solo così posso capire cosa potrebbe mancare al disco e cosa invece ho già e sarebbe inutile riproporre, sia a livello di testo che di suono, dove Weirdo mi viene incontro perchè con le idee già ben chiare.

W.: Con la parola “cinematografica” hai colto in pieno l’essenza di quello che cerco di realizzare in ogni mio progetto. Ritengo infatti che le strumentali debbano essere una sorta di colonna sonora per il rapper, e devono avere tutte un filo conduttore. Il disco deve essere un viaggio unico dall’inizio alla fine, e se ho fatto bene il mio lavoro l’ascoltatore riuscirà a immergersi naturalmente nel mondo descritto dall’artista.
Creare questo tipo di suggestione nell’ascoltatore non è facile ma con Luca vado sul sicuro; interpreta i miei beat – che ritengo siano difficili da rappare – in modo egregio e questo valorizza ulteriormente il mio lavoro.

R.P.: Nella prima strofa di Cold Blooded regali una descrizione di Milano tanto conturbante quanto disarmante. Sei un OG di questa città e l’hai vista cambiare davanti ai tuoi occhi: cos’è che ami e cos’è che odi del capoluogo meneghino?

S.: Milano è il luogo dove sono nato e cresciuto e in 33 anni l’ho vista cambiare molto e in fretta dopo il 2015, anno dell’Expo; tante persone sono arrivate qui da tutta Italia e recentemente anche dall’estero e mi fa ovviamente piacere. Mi piace vivere in una metropoli aperta ed europea. Milano ha saputo sicuramente sfruttare e rendere appetibili i suoi punti di forza e attrazione come altre città italiane non hanno saputo fare. Inoltre rimane una delle città più rap d’Italia; non solo perchè qui sono nati numerosi talenti in tutte le discipline, ma anche perchè puoi trovare fonti d’ispirazione continua, soprattutto nelle storie delle sue periferie. Resto anche dell’idea che questa città stia vivendo un momento di sovra esposizione mediatica, dove tutto quello che viene fatto sembra degno di nota. Intere zone prima popolari, sono state avviate ad un processo riqualificativo che tanto puzza di gentrificazione; l’aria è irrespirabile, probabilmente tra le più inquinate al mondo e trovare casa a buon mercato è un grande problema, troppa speculazione. Basta dunque rovesciare la medaglia per accorgersi che questi miglioramenti sembrano toccare davvero solo la vita di poche persone.

R.P.: Ascoltando il disco nella sua interezza, mi verrebbe da pensare che le ispirazioni musicali non siano arrivate dal mondo del rap. Cos’è che vi ha ispirato nel mondo della musica?

S.: Ti dirò che D.I.T. a me suona molto rap, anzi, mi suona come dovrebbe suonare un disco rap nel 2020. Nell’ascolto musicale vado a periodi ma tendenzialmente ascolto tanta musica, quasi esclusivamente black; mi piace la sera ascoltare soul e nu soul ma anche pezzi trap e ovviamente rap. Ascolto da anni Roc Marciano e tutto quello che è nato attorno a Marcberg, che rimane la mia pietra miliare; mi piace il movimento Griselda e affini ovviamente, (anzi non nego che su Occhiali Gaultier e Giardino ci avrei visto WSG), ma sono ben contento di non “copiare” la roba che fanno loro. La roba che facciamo noi sarà da trend per i rapper italiani ne sono sicuro.

W.: Personalmente al momento sto ascoltando poco rap, dopo almeno 20 anni di “studio” intenso mi sono ritrovato abbastanza saturo. Naturalmente ci sono cose che escono anche oggi che mi piacciono ma è un genere che mi suscita meno attrattiva rispetto a un tempo. Avevo bisogno di altri stimoli, e sto ascoltando molto musica strumentale che veda poco coinvolto il cantato. Questo credo abbia avuto un’influenza sui miei beat, sono arrivato al punto di creare tappeti che potrebbero stare benissimo anche da soli. E’ un po’ una piccola magia quando trovi quella breve porzione di campione che, seppur ripetuta, non stanca ma quasi ti culla da quanto è ipnotica. Muggs e le sue produzioni nel disco dei Cypress HillTemples of Boom” sono l’esempio perfetto di quello a cui aspiro.

R.P.: Occhiali Gaultier esce qualche settimana dopo l’annuncio del leggendario stilista, che si ritira dal mondo della moda. Nel tuo immaginario l’alta moda ha sempre fatto comparse fugaci, rapide ma incisive, legate ad un mondo di raffinatezza ed eleganza che sembra ormai un lontano ricordo. Oggi che rap e streetwear mainstream vanno a braccetto, anche nel caso di rapper più hardcore, come giudichi questo binomio?

S.: Occhaili Gaultier è uno dei primi pezzi che ho scritto per D.I.T., spero di non aver mandato in pensione JPG per uno strano corto circuito artistico vaticinante (ride). La sartorialità si collega perfettamente alla scrittura e dunque la moda mi piace in quanto forma d’arte ma non seguo la cosa da fan ecco. Rap e moda hanno sempre viaggiato vicini, Tupac è stato uno dei primi rapper a sfilare per Versace (Milano, 1996), e brand ambassador di JPG eyeglasses con i suoi iconici 55-3175. Io ne possiedo uno da qualche anno e ho voluto dedicargli un pezzo perchè la linea da vista JPG mi piace di brutto, sono cafonatamente elgantissimi! Non mi da alcun fastidio che rap e moda vadano di pari passo, anzi, mi sorprendo di come molti rapper ancora non si sappiano vestire (sorride, ndr). A parte gli scherzi, mi da certamente fastidio la sovraesposizione della roba, la gara a mostrare i brand, i ragazzini di 13 anni iper griffati che aspettano i drop delle scarpe con i soldi dei genitori. Ecco, questo sì mi da fastidio perchè incarna parte del nostro presente, il nichilismo, la superficialità e l’arroganza.

R.P.: Nessun featuring, solo gli scratch di Dj Lil Cut. Se potessi realizzare però il remix di una delle tracce, quale sceglieresti e con chi lo realizzeresti? Non è alla portata di tutti misurarsi con brani di questo tipo.

S.: A me piace rappare da solo e non ho nessun problema a non avere feat. nei miei lavori. Nei prossimi capitoli sicuramente tirerò in mezzo altri rapper, perchè in Italia c’è gente che sa scrivere. Per un eventuale remix forse sceglierei Cold Blooded e farei fare una strofa a Johnny Marsiglia, lo vedo bene sopra.

R.P.: Se dovessi indicare una sola traccia che riassume l’essenza del progetto, quale sarebbe?

S.: Cold Blooded forse, è velluto, è cremosa, ti fa muovere la testa e trovi tutti i lati della mia scrittura.

W.: Concordo su Cold Blooded. Le strofe di Luca fanno viaggiare e, parlando del beat, sul ritornello ho fatto una finezza. Il sample di sottofondo e il sax che entra provengono da due brani totalmente diversi. Naturalmente è stato necessario un lavoro di taglia e cuci del sax, per creare la melodia che serviva e fondere alla perfezione il tutto. Una volta che chiudo il giro principale dei miei beat cerco sempre di arricchirli dove possibile con qualche dettaglio. In una produzione queste sono le cose che fanno la differenza e che mi rendono più fiero, di cui però ben pochi si accorgono quindi ci tenevo a dirlo (sorride, ndr).