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The Lambsbread: l’intervista

23-01-2020 Haile Anbessa

The Lambsbread: l’intervista

Abbiamo intervista Kaya, voce principale della reggae band hawaiiana The Lambsbread. Un gruppo molto coeso e peculiare dati i rapporti di sangue tra i suoi membri e una predisposizione spiccata per il reggae roots conscious.

Haile Anbessa: voi siete una vera e propria famiglia nel senso stretto del termine. Mi spieghi i legami tra voi?
Kaya: la band è composta da me che sono il cantante, mia moglie Nadia che è la corista, nostro figlio Samuel Levi alla batteria e l’altro nostro figlio Jacob Selassie alle tastiere. Solitamente poi portiamo sul palco come special guest anche nostro figlio piccolo Ikaika Lion di soli 5 anni. Già canta, fa il dj ed è un vero e proprio fenomeno sui vari social media. Solo il chitarrista e il bassista non hanno legami di sangue con noi ma è come se fossero parte della famiglia. Al basso suoniamo spesso con il giamaicano Chris Meredith mentre il nostro chitarrista è Jesus “Chewy” Gallegos.

H.A.: come hai iniziato con la reggae music?
K.: quando ho incontrato mia moglie Nadia a Kauai nei tardi anni Novanta scrivevamo già musica ognuno per proprio conto. Per entrambi il reggae è stato parte importante della nostra infanzia perché io ad esempio sono cresciuto con la musica di Bob Marley, Black Uhuru e Peter Tosh che sentivo costantemente sulle nostre stazioni radio mentre Nadia viene da una famiglia di Trinidad e quindi è cresciuta con tanto Calypso, così come Steel Pulse, Bob Marley, Ziggy Marley e così via. Il reggae quindi ha da sempre fatto parte delle nostre vite, prima ancora di diventare artisti a nostra volta. Nel 2003 abbiamo pubblicato il nostro primo singolo intitolato Love in the House per l’etichetta Zion High Productions. La canzone è stata pubblicata su vinile a Kingston come parte del Liberation Riddim e che comprendeva artisti del calibro di Capleton, Yami Bolo, Lutan Fyah e Turbulence. Questo è stato il nostro vero e proprio battesimo del fuoco sulla scena reggae internazionale.

H.A.: voi siete delle Hawaii. Come è la scena reggae da voi?
K.: la scena alle Hawaii gode di ottima salute ed è un vero e proprio punto di riferimento musicale sulle isole. Direi che è il genere più popolare, specialmente il roots, fin dai tempi della visita di Bob Marley nel 1979. Gli Hawaiiani preferiscono il roots mentre la dancehall e la cultura dei soundsystem non ha attecchito molto. Si preferiscono concerti roots live così come di musica che mescola tradizione hawaiiana e reggae.

H.A.: quali sono le peculiarità della vostra musica?
K.: noi siamo forse l’unico gruppo sulle isole composto da familiari. Ho già visto gruppi come Morgan Heritage o New Kingston ma alle Hawaii siamo i soli. Abbiamo lavorato nel corso degli anni con tanti veterani giamaicani della scena sia artisti che produttori quindi sono convinto che il nostro suono sia molto simile a quello delle origini rispetto ad altri qui alle Hawaai. Proprio per questo siamo i soli hawaiani ad essere suonati dalle radio giamaicane come Irie FM o Roots FM e scrivono di noi anche il Jamaican Gleaner o il Star Newspaper, cosa non usuale per una band delle Hawaii.

H.A.: Pass Me the Fire uscirà quest’anno…
K.: Pass Me the Fire è il primo singolo del nostro prossimo album. È una traccia molto roots con una massiccia linea di basso e un messaggio di verità e diritti per tutti gli esseri umani. La musica è stata scritta da Jacob Selassie il nostro tastierista e il bassista veterano Chris Meredith ci ha aggiunto la linea di basso. Chewy poi ha aggiunto alla melodia la chitarra. Samuel, il nostro batterista è anche un producer di talento e ha missato la tune che abbiamo masterizzato a Miami presso Fullersound che ha masterizzato anche gli album di Bob Marley e Morgan Heritage. L’abbiamo lanciato il 6 di dicembre e la canzone è piaciuta subito sia ai fans che ai media. Il singolo è stata in heavy rotation a lungo qui sulle nostre radio alle Hawaii e anche la grande dj Talia Powers l’ha suonata su Irie FM, facendola diventare una delle nostre canzoni più ascoltate su Spotify. Ha debuttato anche nella top 50 di iTunes, segno che sta piacendo. Stiamo terminando anche la produzione del video ufficiale che uscirà verso gli inizi di febbraio.

H.A.: questo sarà il vostro sesto album. Cosa differisce dai precedenti?
K.: credo che più si vada a fondo nella musica più la qualità ne benefici a ogni livello. La musica comunque è un’ispirazione quindi ogni volta è sempre nuova e differente.

H.A.: avete qualche featuring sull’album?
K.: ci sarà qualche artista sicuramente ma al momento non possiamo rivelare altro.

H.A.: negli Stati Uniti si preferisce il roots conscious o la dancehall?
K.: penso che negli USA ci sia abbastanza pubblico per entrambi i generi, dipende in quale stato ti trovi. La west coast e i middle states preferiscono il roots mentre la east coast propende più per la dancehall.

H.A.: vi vedremo in tour in Europa la prossima estate? Qualche piano a riguardo?
K.: mi piacerebbe molto portare i Lambsbread in qualche festival in Europa. Sarebbe un onore e un privilegio condividere un po’ di vibrazioni positive con i fan europei del reggae.