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Uno, nessuno e centomila: il molteplice artista un tempo conosciuto come Prince

21-04-2016 Marta Blumi Tripodi

Uno, nessuno e centomila: il molteplice artista un tempo conosciuto come Prince

Non più tardi di qualche mese fa un inaspettato e clamoroso annuncio aveva rischiarato le giornate di molti italiani, comprese le mie. Nell’ultimo periodo Prince era impegnato in un tour unico nel suo genere, intitolato Piano & Microphone (nel vero senso della parola: sul palco ci sarebbero stati soltanto lui e un pianoforte), e aveva deciso che anche Milano sarebbe stata una delle tappe designate. Purtroppo, qualche giorno dopo gli attentati di Parigi avevano irrimediabilmente cancellato le nostre speranze: il tour europeo era stato annullato senza possibilità d’appello. Una stilettata al cuore per chi, come me, aveva perso il suo ultimo concerto italiano, risalente al 2010 e ancora oggi descritto come leggendario da tutti i presenti. Personalmente lo prenderò come un monito: sei anni fa, spinta da un attacco di parsimoniosità, ho risparmiato cinquanta euro ma ho perso un’esperienza senza prezzo. Ben mi sta. Si può essere tirchi su molte cose, ma non sulle emozioni. Dieci cocktail o cinema in meno, venti pacchetti di sigarette in meno, una cena fuori in meno: questo è il prezzo di un concerto “costoso”. E di solito – sicuramente in questo caso – quei soldi vale la pena spenderli. Sempre e comunque. Me lo ricorderò per sempre, di NON esserci stata.

Prince Rogers Nelson era un artista indescrivibile, in ogni senso possibile. Tanto per cominciare, non era identificabile con un solo strumento o un’abilità artistica: cantava e scriveva, e questo è il dato più evidente, ma era in grado di suonare anche qualsiasi cosa (tant’è che pare che nei suoi primi cinque album avesse suonato tutti gli strumenti in ogni singola session). Secondariamente, sfidiamo chiunque a definirlo con un genere musicale. Qual era il sound di Prince? Funk? Rock? Pop? Soul? Psichedelico? Ciascuno, in lui, sentiva quello che più gli pareva. Come si chiamava Prince? All’anagrafe Prince Rogers Nelson, sicuramente, ed era stato battezzato così per via del soprannome di suo padre, ma negli anni aveva cambiato decine di pseudonimi: alcuni definivano il suo collettivo (Prince & the Revolution, New Power Generation), altri la sua individualità (The Symbol, The Artist, TAFKAP). Era un solista o il membro di una squadra? Difficile a dirsi, considerando che è riuscito a rendere leggendario qualunque musicista associato a lui, vedi Wendy & Lisa, le sue coriste e compagne di band. Che genere sessuale incarnava? A vederlo lo prendevi per gay, ma in realtà era uno dei più voraci tombeur de femmes in circolazione. Qual è stato il periodo di massimo splendore di Prince? Senz’altro a metà degli anni ’80 ci ha regalato gran parte dei suoi capolavori, ivi compresa la monumentale Purple rain, ma nessuno sano di mente potrebbe mai affermare che la sua produzione abbia mai affrontato un periodo di down: dai suoi primissimi exploit quasi infantili fino agli anni ’00, il livello è sempre rimasto altissimo anche se non sempre condivisibile. Per fare la prova del nove, provate ad ascoltare la sua produzione dell’ultima decade o giù di lì: pezzi come Musicology, Black sweat, Breakfast can wait sono incredibili perle senza tempo. D’altra parte, narra sempre la leggenda, era un autore incredibilmente prolifico: scriveva canzoni perfino lavandosi i denti. Almeno una al giorno. Per la legge dei grandi numeri, la dozzina che arrivava ad essere inserita in un album doveva essere per forza costituita da capolavori. La complessità della sua opera è difficile da spiegare, ma per comprenderla basta provare a canticchiare una sua canzone. Se l’unica linea melodica che riuscite ad azzeccare senza errori e senza esitazioni è Kiss, cari miei, un motivo c’è.

Nella sua vita privata, Prince era irrequieto quanto nell’arte. O meglio, era davvero difficile distinguere l’arte dalla sua vita privata. Figlio di due jazzisti di stanza a Minneapolis, ha cominciato a fare musica da giovanissimo, ed è stato quello, forse, il suo unico vero amore. Non che fosse un monaco, intendiamoci: aveva avuto un sacco di amanti (tra cui, si narra, anche Madonna e Kim Basinger: amava circondarsi di belle donne, spesso anche piuttosto improbabili e inaspettate, tipo Manuela Arcuri che era stata la protagonista del video Somewhere here on earth del 2007). Aveva avuto anche due matrimoni brevi e falliti, uno dei quali aveva portato al concepimento di un figlio, morto a una settimana dal parto per una grave malattia genetica. In età matura era diventato un testimone di Geova, arrivando addirittura a predicare porta a porta a Minneapolis, ed era un vegano convinto, di quelli che potevano dare del filo da torcere a Morrissey. La sua battaglia legale contro la digitalizzazione della musica era ormai ben nota da anni: aveva preteso che tutti i suoi video, e tutti i video che contenevano la sua musica o la sua immagine, fossero rimossi da YouTube, rifiutava di essere inserito nel catalogo di Spotify e anche il suo approdo ad iTunes era stato meditato e negoziato lungamente. Era arrivato perfino a dare battaglia ai suoi fan, che avrebbero voluto utilizzare i suoi brani come sottofondo per i loro video di matrimonio/laurea/compleanno condivisi su Internet e se li trovavano regolarmente rimossi. Si era scontrato addirittura con i Radiohead, di cui tutto si può dire, ma non che siano permissivi per quanto riguarda la diffusione della loro musica online (Thom Yorke ha ritirato tutte le sue canzoni dai servizi di streaming un paio di anni fa). Nel 2008, sul palco del Coachella, Prince aveva fatto una cover di Creep, ma subito aveva preteso che tutti i video girati dal pubblico fossero rimossi da Internet. I Radiohead, invece, insistevano che rimanessero online. “È la nostra canzone, decidiamo noi” avevano affermato, piuttosto legittimamente. Alla fine l’avevano spuntata, ma in effetti Prince non aveva tutti i torti: non tutto è ripetibile o riproducibile. Una semplice traccia audio non renderà mai l’idea di un’esperienza.

Nelle ultime settimane pare che non stesse molto bene: mentre era in tour i postumi di una bruttissima influenza l’avevano costretto a un atterraggio d’emergenza per essere soccorso, e ad annullare o rimandare alcune esibizioni. Nessuno, però, poteva aspettarsi qualcosa di così drammatico e improvviso, tant’è che purtroppo era solo quando la tragedia è avvenuta. Il vuoto che lascia è incolmabile: non ha eredi spirituali o artistici, perché era del tutto inimitabile. Che la terra ti sia lieve, Prince: grazie per non avere mai rinunciato ad essere te stesso.