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Mecna: l’intervista

23-03-2015 Marta Blumi Tripodi

Mecna: l’intervista

Non è facile decidere di lasciare la via vecchia per la nuova, soprattutto se la vecchia ti stava portando finalmente da qualche parte dopo infiniti sforzi e molta strada macinata, ma si può dire senz’altro che Mecna ci sia riuscito. Il suo ultimo album Laska, in effetti, c’entra poco con tutta la sua precedente produzione, eppure c’è comunque una certa continuità nel percorso: è Mecna come ce lo saremmo immaginato tra vent’anni, solo con vent’anni di anticipo. Ci vuole un po’ per entrare in quest’ottica e far collimare aspettative e realtà, ma una volta abituati al suo nuovo sound, è impossibile non rendersi conto che si tratta di una scommessa vinta. Per registrare questo disco, frutto di un periodo sentimentalmente travagliato della sua vita, il rapper si è isolato per un periodo in Norvegia, nel bel mezzo del nulla, ma essendo il freddo il suo elemento naturale, ne è uscito rafforzato e con nuove idee e nuovi stimoli. E’ proprio da qui che partiamo.
Blumi: Perché ritirarsi in un paesino sperduto nella foresta?

Mecna: Era arrivato per me il momento di lavorare al nuovo disco; era estate, avevamo tutto il tempo per dedicarci solo a questo progetto, così ho proposto al mio amico e collaboratore Alessandro Cianci, foggiano come me, di andarcene da qualche parte e isolarci in modo da concentraci meglio. La scelta è caduta su un cottage sul lago, a un paio d’ore da Oslo. Ci siamo portati dietro qualche beat, una chitarra, una scheda audio e un microfono: di base si può dire che abbiamo iniziato a cazzeggiare, senza chiederci esattamente cosa stavamo facendo. È stato un bell’inizio, perché ci ha fornito molto materiale da sviluppare una volta tornati in Italia.

B: Leggenda vuole che il posto fosse talmente isolato che prima di partire avete dovuto fare provviste, in quanto il primo negozio era a chilometri di distanza…

M: Sì, è vero! Eravamo a un quarto d’ora di macchina dal paese più vicino. Anche arrivare è stato complicato: in aereo fino ad Oslo, poi in treno fino alla stazione del paese e infine in taxi – l’unico del posto – fino al cottage, che non era neanche segnato sulle mappe. Quando ci ha scaricati lì il taxista ci ha un po’ inquietato: “Sono il solo a sapere che siete qui…”. (ride) In ogni caso è stata una bellissima esperienza: nelle pause tra una session e l’altra ci rintanavamo sulla nostra terrazza a strapiombo sulla foresta, bevendo birra e guardando il paesaggio con il tempo che cambiava continuamente.

B: Ci racconti qualcosa in più su Alessandro Cianci?

M: Lo conosco da anni perché eravamo al liceo insieme, abbiamo anche suonato in una band per un po’ (lui il basso e io la batteria, facevamo soprattutto cover di rock americano). Ci siamo sempre trovati molto bene a fare musica, anche perché negli anni lui aveva imparato a suonare un po’ di tutto e aveva sviluppato un’ottima capacità di creare nuove melodie. Con il tempo ci siamo un po’ persi di vista, fino a quando ci siamo ritrovati entrambi a Milano. Un giorno stavamo chiacchierando e mi ha raccontato di essere rimasto molto colpito dal disco di Drake, Take care, e mi sono detto “Se ha capito l’intenzione di un album del genere, potremmo creare una bella alchimia lavorando insieme”. E così abbiamo fatto, concentrandoci su suoni un po’ diversi da quelli che avrei usato con un beatmaker tradizionale.

B: E in effetti i suoni di Laska hanno colpito tutti per la loro originalità e freschezza: nessuno si immaginava che te ne saresti uscito con un album del genere…

M: L’ispirazione arriva dai miei ascolti, che comprendono vari generi musicali e in questo caso si focalizzano soprattutto su beatmaker un po’ alternativi come Cashmere Cat, Lido, Shlomo e altri, che ultimamente si stanno affermando anche nell’hip hop. Negli ultimi anni mi piace perdermi nei meandri di Spotify con la stessa attitudine con cui da ragazzino facevo digging nei negozi di dischi all’estero: cerco novità tramite gli artisti consigliati o le playlist di persone con gusti simili ai miei. Il risultato è che mi trovo a scoprire mondi per me totalmente sconosciuti, che non ti saprei neanche definire a parole: non credo che ci sia un nome per il tipo di musica che fanno. Quando ho conosciuto Iamseife, un producer originario di Cuneo ma con base a Milano, ho capito che anche lui era sulla mia stessa lunghezza d’onda, così ho deciso di coinvolgerlo massicciamente; nella fase post-Norvegia mi ha aiutato molto a definire il mood del disco.

B: Un’altra cosa che caratterizza parecchio il mood – per alcuni in positivo, per altri un po’ più in negativo – sono i ritornelli canticchiati, e a tratti stonicchiati (ma sempre molto effettati) che si ripetono lungo tutto l’arco della tracklist.

M: È una cosa che ho sempre voluto inserire in tutti i miei lavori; in questo caso sono quasi la totalità, ma mi è uscito abbastanza spontaneo. Anzi, ti dirò: quando mi mandano una nuova strumentale, prima di scrivere la strofa inizio a canticchiare per cercare un possibile ritornello. Mi dà un indizio per trovare l’argomento e l’atmosfera giusta per il pezzo. Come notavi tu per Laska abbiamo utilizzato anche alcuni effetti, come il talkbox e un po’ di autotune. Credo che non bisognerebbe essere contrari all’autotune a priori: si può usare in vari modi, e io l’ho usato in maniera funzionale al suono del disco.

B: Passando al contenuto, più che alla forma, l’atmosfera dell’album è in generale piuttosto cupa e il tema centrale è l’amore. È uscito così o era pensato per essere in quel modo?

M: Laska vuol dire “amore” in ceco, e questo già dovrebbe darti un indizio… (ride) Un titolo che avevo in testa come se fosse un logo, e che ricorda un po’ la parola Alaska, evocando una sensazione di freddo in chi lo legge.

B: Anche lo shooting e le grafiche che accompagnano il disco contribuiscono a evocare questa sensazione di freddo. Già che siamo in argomento, due domande: primo, visto che notoriamente ci tieni molto a curare di persona anche questi aspetti, ci spieghi com’è nato il concept?

M: La protagonista assoluta è una rosa ghiacciata, accompagnata da altri oggetti di uso comune citati nelle canzoni (una scarpa, un taxi…) congelati in una sorta di sospensione metafisica. Ho pensato la copertina del disco insieme al mio collega Federico Grassi e abbiamo chiamato a realizzarla Pietro Cocco, un artista della fotografia specializzato in still life che vive e lavora tra l’Italia e New York. Lui già conosceva i miei lavori, sia a livello musicale che a livello grafico, quindi tra noi tutto è scivolato liscio come il ghiaccio, letteralmente e in senso figurato.

B: Secondo (ovvero la domanda che tutti si pongono): sei consapevole del fatto che tutti guardano la tua foto con la barba imbrattata di vernice bianca e pensano a una sola cosa?

M: Certo, ho letto tutti i commenti, anzi, mi aspettavo anche di peggio! (ride) Mi diverto a spingermi oltre e a uscire dai soliti preconcetti, e anche le critiche degli hater mi divertono: molti quella foto non l’avrebbero mai fatta, ma io l’ho fatta proprio perché sapevo che qualcuno mi avrebbe chiesto quello che mi stai chiedendo tu. L’effetto ottico dipende dal fatto che la maggior parte delle persone l’ha vista solo su Internet. Chi invece ha comprato il cd fisico ha potuto osservarla con più attenzione e ha capito che si tratta semplicemente di una barba ghiacciata.

B: Laska è un album molto personale, che racconta molte vicende di vita vissuta e in particolare una storia d’amore tormentata che ti ha visto protagonista. I particolari che evochi sono molto contestualizzati e riconoscibili, oltretutto. Non hai avuto un po’ timore ad esporti così, mettendo in qualche modo i fatti tuoi in piazza?

M: Sì, in effetti è vero! (ride) Il punto è che non saprei fare in altro modo: non potrei mettermi a tavolino e decidere cosa raccontare e cosa non raccontare nelle mie canzoni. Il mio approccio alla musica è sempre stato questo, e probabilmente in questo disco risulta un po’ accentuato perché la scrittura è più a fuoco. Il fatto di fornire molti particolari, comunque, è un’arma a doppio taglio: in alcuni casi le descrizioni sono talmente dettagliate che l’ascoltatore non riesce a immedesimarsi, in altri creare delle immagini molto vivide aiuta a calarsi ancora di più nel contesto di ogni pezzo.

B: In effetti è come guardare un film: tracci un vero e proprio percorso visivo tra l’inizio e la fine della storia…

M: Anche per quello sono molto contento dei riscontri che sto ricevendo. Chi ha recepito il disco lo ha recepito in pieno; poi, ovviamente, come sempre c’è una fetta di persone che non l’ha capito (o non lo vuole capire), ma è nell’ordine naturale delle cose.

B: Questo è il tuo primo lavoro affiliato a una major (è uscito sotto licenza Universal, il che vuol dire che non è Mecna ad essere legato a un contratto con la casa discografica, ma solo il suo disco, ndr), come ti trovi?

M: Bene, a dire il vero: ho apprezzato molto il fatto che abbiano deciso di lavorare con me solo dopo avere ascoltato l’album nella sua interezza, quindi vuol dire che lo hanno apprezzato davvero. Comunque il nostro approccio di lavoro, come MacroBeats Records e come management, non è cambiato. Però senz’altro ci sono state alcune novità, come gli instore, che non avevo mai fatto prima…

B: Come sono andati?

M: Bene! È stata un’esperienza particolare: molti ragazzi sono abituati ad instore in cui il rapper di turno è seduto in un angolo, scazzato, firmando copie a ripetizione a mo’ di catena di montaggio. Io invece cercavo di coinvolgerli facendo domande o commenti, soprattutto ai più timidi. Mi ricordo con particolare affetto Napoli: mi hanno portato disegni, lettere, pasticcini, birre, perfino una scatola di cerotti per ricordare un mio vecchio pezzo che si intitolava proprio così. C’era anche un ragazzo che si è tatuato il logo di Laska: l’avevo già visto su Instagram, ma è venuto a presentarsi di persona. Non è la prima volta che mi capita di vedere una mia rima o qualche altro riferimento al mio percorso musicale tatuati sulla pelle di perfetti sconosciuti: credo sia una grande responsabilità e un onore, ma allo stesso tempo mi mette un po’ in soggezione. Mi verrebbe sempre da chiedergli “Ma che cazzo hai fatto?!?”… (ride)

B: Cambiando argomento, l’ultima volta che ti avevamo intervistato avevi detto che sentivi il bisogno di mantenere un lavoro “normale” oltre a quello del musicista, perché stare in ufficio 5 giorni a settimana ti aiutava a mantenere i piedi per terra. Poco tempo fa, invece, ti sei licenziato. Cos’è cambiato?

M: In realtà non è cambiato nulla, quello che ti ho detto l’altra volta lo penso tuttora. Però questo mi sembrava il momento adatto per dedicarmi appieno alla musica, anche perché mi sento davvero soddisfatto di quest’album, e per riuscirci dovevo forzatamente lasciare il lavoro, anche se continuo a fare il freelance. Per ora mi trovo bene, anche perché tra promozione, interviste e il tour sono parecchio impegnato. Non so quanto durerà, però: quando i live diminuiranno penso che ricomincerò a sentire il bisogno di un lavoro vero, che mi scandisca le giornate. Spero di arrivarci senza paranoie!

B: Ultima domanda, che più che altro è una curiosità: l’estate scorsa sei stato protagonista del celebre spot di un cono gelato che era praticamente un inno all’estate. Ci racconti un po’ com’è nato questo tormentone? (NB: l’intervista è stata registrata ben prima che uscisse lo spot di un’auto con Frankie Hi-Nrg, fin troppo simile al suo, in onda in tv in questi giorni, altrimenti avremmo chiesto a Mecna anche se pensava di aver lanciato una moda)

M: È stata una cosa fatta tra di noi, per così dire, una specie di sfizio personale: è nato quando ancora lavoravo nella mia vecchia agenzia pubblicitaria e per girarlo abbiamo coinvolto anche lo staff di Lab35, ovvero i registi con cui lavoro di solito per i miei videoclip. Per ricollegarci al discorso della foto con la barba ghiacciata che a tutti sembra altro, penso che la pubblicità di un prodotto che inneggia all’estate, fatta da me che notoriamente odio l’estate, fosse un’idea molto divertente. Il controsenso era del tutto voluto, ma è stato bello ricevere in cambio una buona dose di odio: gli hater hanno il potere di stimolarmi. Non mi aspettavo proprio che sarebbe diventata così famosa, però, anche perché non pensavo che l’avrebbero mandata in onda così tanto.

B: Progetti futuri?

M: Innanzitutto il tour, che è iniziato qualche giorno fa a Milano e toccherà le principali città italiane in primavera e in autunno, perché in estate io non suono: fa troppo caldo e voglio andarmene in vacanza in qualche posto nordico! (ride) Per il resto, continuare a sperimentare in questa direzione; se vuoi un’anticipazione, penso che all’interno dell’album Favole sia il brano con il suono, la struttura e la mentalità più simile all’approccio che vorrei sviluppare in futuro. Meno rap, più cantato, suoni molto freddi. Ovviamente, però, ci penserò più avanti, per ora c’è ancora troppa carne al fuoco.