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Pepp Oh: l’intervista

01-03-2015 Gabriele Sessa

Pepp Oh: l’intervista

Dire che Pepp Oh é uno dei tanti rapper che affollano le periferie partenopee è riduttivo, Peppe è un vero e proprio artista, un cantante e strumentista autodidatta che affonda le sue radici in una mescolanza decennale di Black Music e di musica napoletana e approda da adolescente al mondo dell’hip hop, dove trova un modo per esprimere a 360 gradi se stesso e i suoi disagi con semplicità e purezza, con ‘fotta’ e senza troppi giri di parole. Pepp oh é un giovane artista che naviga sulle parole e sui beat a metà strada tra il Queens e i Quartieri Spagnoli, mettendo nella sua musica anima, hip hop e soul.
Gabriele Sessa: Tu di dove sei?

Pepp Oh: Di Secondigliano, Napoli.

G.S.: Quando hai cominciato a rappare?

Dipende da che rap intendi.. se intendiamo proprio le primissime rime, tutto è cominciato nel 2008 più o meno, semplice e puro divertimento nel freestyle con amici, sempre e solo con loro perché sono abbastanza contro le gare. I primi pezzi portano la data 2010/2011,premesso che il vizietto di scrivere ce l’ho sempre avuto.

G.S.: Perché sei contro le gare?

P.O.: Non amo il concetto di battle, non per lo meno come lo abbiamo acquisito noi, io sono più per il “ Peace, love, unity and havin’ fun”. Secondo me è passato il messaggio sbagliato della battle, va bene la competizione, va benissimo l’agonismo … è un piacere vedere battle con mc’s che si spaccano in due con rime su rime, giochetti, chicche e superflow. Noi abbiamo, come al solito, preso solo il peggio: l’insulto facile, la battuta ad effetto o la “Zeppatella” (punzecchiare l’avversario, ndr). Non è questa la competizione che prediligo.

G.S.: Quali sono gli artisti che ti hanno maggiormente influenzato e che tutt’ora lo fanno?

P.O.: A livello di rap senza dubbio, Fugees, The Roots, Common, Dilla, ma, anche quel tocco maligno e beffardo dei vari Wu-Tang, Redman… se si parla dell’old school. Per il new school sto uscendo pazzo con Joey Bada$$; in Italia, invece, ultimamente mi sto appassionando a Salmo, lo ritengo tra i più validi attualmente. Ovviamente dopo gli old. Riguardo la musica in generale, inutile negare che ho praticamente vissuto fino ad oggi a pane e Pino Daniele, ma vabbè, per un napoletano non fa testo … Impazzisco per il soul in ogni sua forma, da D’angelo ad Amy Winehouse, da Etta James a Erykah Baduh, e anche Damian Marley sa il ‘fattariello’ suo.

G.S.: La tua musica è a metà strada tra il Queens e i quartieri spagnoli, le atmosfere sono intrise di napoletanità nonostante il tuo sia puro hip hop con una vena soul molto spiccata. Come fai a renderla così?

P.O.: Io produco semplicemente quello che sono e che vivo, forse perché non mi chiudo in semplici scimmiottamenti, cerco di dare comunque una mia vena, artisticamente e sinceramente e per questa cosa non finirò mai di ringraziare due artisti napoletani su tutti: Pino Daniele e Speaker Cenzou.

G.S.: Cosa ti ha spinto a fare musica?

P.O.: Diciamo che ho sempre voluto farla, c’è sempre stato qualcosa dentro di me che mi portava a fare musica.. anche solo cantare o suonare,a volte mi è sempre sembrato che qualcuno mi remasse contro e non mi permetteva di fare musica, una volta non s trovava il chitarrista, un’altra il batterista e così via …. fino a quando un mio fratello mi impone nel vero senso della parola di scrivere un rap, io la mia piccolissima cultura hip hop già l’avevo e da li, la ruota ha cominciato a girare.

G.S.: Perché e come scrivi un testo?

P.O.: I motivi sono tanti, dalla gioia di fare una canzone alla rabbia di un testo scritto in un momento particolare, dal lampo improvviso di una frase che poi porta a scrivere due strofe al giochetto semplice di scrittura o di melodia. Le argomentazioni sono spontanee, pensa che i miei primi testi li ho scritti qua e là, in giro, avevo e ho quasi sempre con me il mio block notes, mi è capitato di scrivere nel pullman, con o senza beat poco importa, anche perché a me piace dare un flow a ciò che scrivo, indipendentemente dalla musica. Anche le parole possono fare musica.

G.S.: Hai partecipato al progetto NA BOMB, parlami della tua esperienza.

P.O.: NA BOMB è una bomba seria, un progetto interessantissimo curato da Sonakine, Totore Jack e lo staff Flava, nel quale io in quanto componente della GAS Family ho avuto l’onore di partecipare entrando, se me lo consenti, un po’ nella storia perché secondo me, dopo i vari mixtape passati tra cui Napoolizm, anche questo NA BOMB fa parte di diritto della storia del rap napoletano …. I nomi dei presenti è inutile elencarli (http://www.norule.it/2015/02/na-bomb-le-skillz-esplodono-ancora/#more-993). La gioia è stata leggere il nome della mia family in quella tracklist, un’emozione unica, poi il live a Piazza Dante … suonare davanti a tutta quella gente è un qualcosa che indubbiamente ti resta. Volevo fare altri trecento live appena sceso dal palco, in più mettici che a mezzanotte è scattato il mio 25esimo compleanno…che vuoi di più?? Mi è servita tantissimo come esperienza. Più che il live in sé mi è servita l’esperienza del backstage, della gente sotto al palco che non vuole e non deve rimanere delusa … E poi, il condividere il tutto con la mia family ha un sapore gustoso il doppio.

G.S.: Parlami un po’ del futuro, cos’hai in cantiere? So di progetti molto interessanti…

P.O.: Per prima cosa il disco: farlo sentire, farlo girare con i live, diffonderlo il più possibile. E poi ho in mente un paio di cosette per quanto riguarda il live, più in la mi piacerebbe avere una vera e propria band. Devi sapere che io amo la musica live, specialmente se fatta bene. Prima ero un divoratore di concerti, adesso meno, appena potevo seguivo chi in quel momento mi interessava. Sono stato e sempre sarò dell’idea che un concerto trasmette quanto c’è vita su di un palco e secondo me è una bella botta di vita quella che ti dà una band. Già solo se li vedi suonare mentre si guardano negli occhi, l’avvicinarsi tra loro… l’empatia e la chimica che si crea chi è sotto al palco la percepisce. Immagina un The Roots, però alla napoletana: lì ci sarebbe sicuro una seconda ‘Neapolitan Power Revolution’.

G.S.: Adesso fai parte della Full Heads, cos’è?

P.O.: La Full Heads è un’etichetta indipendente che si occupa, nel mio caso, di curare la stampa la e la distribuzione del mio lavoro. Per ora c’è questo singolo progetto in programma con loro e ovviamente, ogni traguardo è solo un punto di partenza.

G.S.: Ti piacerebbe un giorno sperimentare altri generi e fare un album tutto cantato?

P.O.: A me piacerebbe tanto, ma so che non è ancora il momento, tocca studiare per fare le cose per bene e non mi sento ancora pronto ad affrontare la prossima interrogazione,per ora, va bene così.

G.S.: Quindi tu non hai mai preso lezioni di canto?

P.O.: Io sono un azzeccato autodidatta, sin da bambino,mi ricordo che i migliori trick a livello di voce mi venivano quando salivo o scendevo le scale… c’è sempre un’acustica speciale per le scale!

Nota a cura della redazione di Hotmc: la persona che ha scritto questo articolo ha quattordici anni ed è alla sua prima intervista. Le congratulazioni per l’ottimo lavoro ci stanno tutte. Bravo Gabriele!