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Parix: l’intervista

19-10-2014 Marta Blumi Tripodi

Parix: l’intervista

In America e in Inghilterra già da tempo esiste un genere musicale chiamato urban che raccoglie tutto ciò che ha a che fare con l’hip hop, ma non è strettamente e solamente rap. Non si tratta certo di un filone minore, considerando che ha sfornato nomi come Drake, M.I.A., Pharrell Williams, Macklemore & Ryan Lewis, Chet Faker, Jeremih, Kid Ink, Chris Brown e via dicendo. Certo, alcuni hanno un grande spessore musicale e altri molto meno, ma comunque si tratta di un genere con una propria dignità e un senso d’esistere ben preciso. Qui in Italia si era già tentato un paio di volte di aprire le porte all’urban, senza grande successo, ma è possibile che le cose cambino. La testa d’ariete che sfonderà la porta d’ingresso per spalancarla a tutti i suoi colleghi è probabilmente Parix, giovane bolognese dall’immenso potenziale: canta, rappa, suona praticamente tutti gli strumenti musicali che vi vengono in mente ed è vissuto a lungo a Londra, città di cui ha assorbito le atmosfere e le sonorità. Quanto al versante hip hop, a garantire per lui ci sono due giganti del beatmaking italiano come Fritz Da Cat (che ha lavorato a lungo con lui l’anno scorso e lo ha anche ospitato nel suo album) e Shablo (che ha prodotto i suoi ultimi lavori). Dopo l’esordio con un EP in free download, Parix torna con l’album Musicismo, uscito qualche giorno fa per Universal Music e molto, molto promettente fin dai primi ascolti – cosa che saranno costretti ad ammettere anche coloro che di solito non amano questo tipo di sound. Lo abbiamo incontrato nella sede della sua casa discografica per parlare del progetto.

Blumi: Tu non arrivi propriamente dalla scena hip hop, ti ci sei avvicinato in maniera un po’ trasversale…

Parix: La mia storia è un po’ particolare, in effetti. Ho iniziato ascoltando musica classica e poi, crescendo, punk-rock californiano e metal: però sono sempre stato un metallaro atipico, che usciva dalla sala prove e ascoltava il rap a casa. E ovviamente, sia i miei amici del giro hip hop che quelli del giro rock mi sfottevano per questa mia doppia vita! (ride) Io, comunque, non mi sono mai offeso, perché ho un grande amore per la musica, tutta, la musica. E quando mi sono messo a farla, ho in qualche modo trasferito tutti i miei ascolti in quest’album.

B: Oltre a cantare, suoni anche un po’ di tutto: leggenda vuole che tu abbia imparato da autodidatta, è vero?

P: Esatto, ho investito tutto il mio tempo libero per imparare a suonare diversi strumenti. Il motivo, inizialmente, era soprattutto pratico: un giorno il batterista non può, quello dopo il chitarrista non si presenta alle prove, quello successivo il pianista ha l’influenza… Avendo le idee chiare e sapendo cosa volevo fare, ho cercato di darmi da fare per farcela da solo. Sia chiaro, però, che non sono un virtuoso in nessun campo, ma comunque mi va bene così. Diciamo che comunque il sistema ha funzionato, perché mi ha permesso di registrare un disco interamente per conto mio.

B: Tutte le sessioni di Musicismo, quindi, le hai registrate tu?

P: Yes. Ogni singolo strumento l’ho registrato e suonato io in un home studio, a parte qualche session che ho risuonato in studio da Marco Zangirolami quando siamo andati a fare il mix. Insomma, quest’album è una faccenda molto personale: nel bene e nel male, ci metto la faccia e sono disponibile a prendermi sia i complimenti che le critiche.

B: Il tuo precedente lavoro è stato Wow, un EP in free download uscito un anno fa. Rispetto a quel progetto c’è stata una certa evoluzione in termini di sonorità. Qual era la direzione in cui volevi andare, stavolta?

P: Non mi prefiggo mai una direzione a dire il vero, faccio tutto in maniera molto istintiva. Lo dico anche nel mio ultimo singolo, Il mostro: c’è un mostro dentro di me che prende in mano la situazione e mi fa scrivere quello che scrivo. Nel momento in cui faccio musica sono in qualche modo fuori di me, in senso buono: non ho il pieno controllo, l’ispirazione è come un fiume in piena che mi attraversa e io le lascio fare quello che vuole. Devo dire che, comunque, finora sono stato fortunato: i miei manager e tutti gli artisti con cui ho lavorato finora hanno sempre capito e supportato questo mio modo di lavorare. Sicuramente c’è un’evoluzione tra l’EP e il disco anche perché, anche quando la musica la ascolto da fan, preferisco gli artisti che sanno rinnovarsi, piuttosto che quelli che fanno sempre la stessa cosa. Per Musicismo abbiamo fatto un lavoro molto più curato sulla produzione, e sono contento che si noti la differenza; il mio prossimo progetto sarà ancora diverso, comunque.

B: Perché, c’è già un prossimo progetto in cantiere?

P: Sì, ho già un altro album pronto! (ride) Scrivo e registro moltissimo, vivo rinchiuso nel mio studio/laboratorio come uno scienziato pazzo della musica…

B: Tornando per un attimo alla produzione, tu collabori regolarmente con Shablo e precedentemente hai lavorato molto anche con Fritz Da Cat. Essendo tu una one-man-band che non vuole dipendere da nessuno, come ti trovi a fare musica con loro?

P: Molto bene, ci incastriamo perfettamente! Da un lato sono molto presuntuoso, ma dall’altro riconosco i miei limiti; di conseguenza mi sono reso conto che sì, so fare tutto, ma alcuni aspetti non li padroneggio. Mi mancano le basi di un produttore hip hop, mi manca il modo in cui sanno far suonare il groove di una batteria. Il loro apporto, quindi, è fondamentale per la mia musica: credo che la mano di Shablo si senta molto nel mio album.

B: Shablo, tra l’altro, l’hai conosciuto molto prima di ottenere i primi riscontri discografici…

P: Esatto. Aveva fatto un beat per un comune amico di Bologna, Jimmy Rischio, che mi telefonò e mi chiese se avevo voglia di fare un salto da lui in studio per suonare un riff di chitarra proprio in quel pezzo. Fu lì che conobbi Shablo: ci trovammo subito molto bene, la sera ci sentimmo su Facebook e gli mandai alcune delle cose che avevo registrato precedentemente. Ai tempi ancora cantavo in inglese ed ero al lavoro su un progetto un po’ particolare, un misto tra pop, indie e rap, registrato abbastanza male, tra l’altro. Lui si stupì immediatamente, quando gli spiegai che l’avevo fatto tutto da solo: pensava stessi scherzando! Mi disse: “Senti, non è possibile che tu continui a fare tutto per conto tuo, hai bisogno di qualcuno che ti segua e che ti aiuti”. E aveva ragione, anche perché io sono veramente sconclusionato: senza Shablo che mi fa da papà e mi sveglia la mattina per portarmi in studio, rischio di perdermi… (ride)

B: Tra l’altro, perché hai deciso di fare musica in italiano, dopo il tuo periodo inglese?

P: Di solito facevo le canzoni più melodiche in inglese e i pezzi rap in italiano. A un certo punto ho capito che non potevo continuare a tenere il piede in due scarpe e ho deciso di buttarmi completamente sull’italiano: da lì e nato Musicismo.

B: Musicismo è un album molto sentito e impegnativo, a livello di testi, sia per le tematiche che per le liriche. Mi sembra, però, che manchi un po’ dell’ironia e della leggerezza di Wow, che erano i tuoi tratti distintivi…

P: Nella vita sono una persona molto solare: tengo il malessere per me e poi lo ributto dentro alla musica. Riuscire a usare bene l’ironia nelle mie canzoni è un traguardo che vorrei raggiungere, prima o poi, ma per adesso ho preferito accantonarlo per un attimo e fare riflettere le persone, piuttosto che farle ridere, visto anche il periodo un po’ cupo che il mondo sta attraversando ultimamente. Questo non vuol dire che sarà così per sempre, comunque: penso e spero di avere ancora molti dischi da scrivere in futuro, più avanti farò uscire anche quella parte di me.

B: Nel mercato italiano la cosiddetta musica urban non ha ancora trovato una sua collocazione: chi pensi che saranno i tuoi ascoltatori?

P: Bella domanda. Il mio è un disco complicato, quando non riesci ad incanalare un artista in un genere è difficile che la gente arrivi ad apprezzarlo del tutto. Per esempio ho un fratello più piccolo, e tutti i suoi amici ascoltano rap: ascoltano la mia roba e dicono che quando rappo spacco, ma che quando arrivano i ritornelli cantati non mi si può sentire! (ride) Altri amici, invece, apprezzano quando canto, ma odiano il rap e quindi non riescono a seguire le strofe rappate. Ho cercato di unire due tipologie di ascoltatori completamente diverse, ma non so se la cosa sarà capita. In ogni caso io ho fatto quello che volevo e che mi piaceva: il disco è nato innanzitutto per me, il fatto che piaccia agli altri è in qualche modo secondario… Io ce l’ho messa tutta, come andrà andrà.

B: Curiosità: il tuo manager è Shablo, affiancato da Paola Zukar. Per questo motivo molti pensano tu sia un artista della Tempi Duri Records di Fabri Fibra, ma in realtà non è così…

P: Sia Paola che Shablo mi seguono come manager fin dall’inizio del progetto, ma il disco esce a tutti gli effetti per Universal Music. Questo succede perché avevo già firmato un contratto con Emi, che però è stata assorbita da Universal l’anno scorso. Comunque Tempi Duri è un’etichetta che si concentra soprattutto sul rap, mentre io sono più che altro un artista pop, per cui probabilmente non sarei stato il nome più adatto per loro.

B: Non mi resta che chiederti: progetti futuri?

P: Come ti dicevo ho già un altro album pronto, ma prima di parlarne vedremo come va questo. Non è detto che la gente lo capisca, per le ragioni di cui parlavamo prima, ma penso che a un certo punto bisogna rivendicare con orgoglio le proprie scelte, e io sono molto soddisfatto del risultato. Di solito sono il tipo di persona che si infastidisce a riascoltare le proprie canzoni: dopo averle scritte le chiudo in un hard disk e non le considero più. In questo caso, però, è successo tutto il contrario, non me ne stanco mai. E questo è davvero un buon segno. Se però non siete d’accordo con me, non ne farò un dramma: se non vi piace Musicismo, non compratelo!