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Rocco Hunt: intervista speciale prima di Sanremo

19-02-2014 Marta Blumi Tripodi

Rocco Hunt: intervista speciale prima di Sanremo

Stasera è la gran sera, per Rocco Hunt: il debutto a Sanremo con la sua Nu jorno buono che ha già ottenuto ottimi riscontri di pubblico e di critica. Lo abbiamo incontrato alla vigilia della gran serata per testare il suo umore (e per ricordarvi di televotarlo: noi lo faremo senz’altro!).
Blumi: Innanzitutto: come sta andando?

Rocco Hunt: Direi molto bene: siamo immersi fino al collo in questa giostra sanremese, ma stiamo rappresentando un’intera scena e un territorio in uno scenario importante come quello dell’Ariston.

B: Ma sei almeno un po’ emozionato? A vederti da fuori sembri calmissimo, rispetto a tutti gli altri concorrenti…

R.H.: Sono tranquillo, ma dentro di me sta crescendo l’ansia. Sono molto bravo a nasconderlo però, ormai! (ride) Anche perché dopo anni di ansia da palcoscenico ci fai quasi l’abitudine, impari a conviverci. Diciamo che questo è un palco difficile per i rapper, e la vera novità è proprio il fatto che il rap quest’anno c’è davvero. Però, visto che siamo qui a parlare tra di noi e entrambi sappiamo che cos’è l’hip hop, credo che l’hip hop quest’anno sia rappresentato soprattutto da me, e non da me e Frankie Hi-NRG che invece è un po’ più esterno alla faccenda. Molto onestamente, sono io l’unico rapper del festival di Sanremo in questo momento.

B: Qual è la cosa che ti ha più colpito finora, di tutto il circo che circonda il festival?

R.H.: Il fatto che è molto complicato tenere la testa sulle spalle. Io sono qui tra i giovani ma ho fatto tanta gavetta, per mia fortuna: ho avuto modo di maturare e capire come funzionano certe dinamiche dello spettacolo. Uno che invece arriva qui ed è davvero al suo debutto assoluto, invece, resta travolto da tutto il clamore e dalle interviste e quando il lunedì finisce tutto, resta sconvolto dal fatto che apparentemente non succede più niente. È il bello e il brutto del festival: dura una settimana!

B: Ieri, prima della diretta, hai twittato una foto in cui posavi insieme ai tuoi genitori in abito da sera, prima di entrare nel teatro. Immagino che loro siano ancora più eccitati di te…

R.H.: Sono ovviamente contentissimi e sono qui con me. Probabilmente sì, è una soddisfazione più per loro che per me. Hanno cresciuto tra mille difficoltà un figlio seguendo i valori tradizionali cristiani, cercando di farmi diventare forte e con la testa sulle spalle, e vedermi arrivare a Sanremo a 19 anni per loro è senz’altro un gran risultato.

B: Parliamo della canzone: è stata scritta apposta per il festival?

R.H.: No, esisteva già, l’avevo registrata da tempo in formato di provino quest’estate. Poi, per ridere, quando è uscito il bando per Sanremo, ho detto ad Agostino (Chief, il suo manager, ndr) di provare a mandarlo; ma così, giusto per sperimentare, per divertirmi. Non pensavo che qualcuno avrebbe mai preso un pezzo rap in dialetto, e invece il 6 dicembre ci hanno avvisato che eravamo tra i primi 60 finalisti. Io all’inizio non volevo dire niente per scaramanzia, ma alla fine mi hanno convinto a parlarne e sono rimasto scioccato dalle reazioni di supporto della scena. Di solito chi va a Sanremo viene considerato un venduto, e io invece ci sono arrivato con il supporto dei Colle, di Kaos, di Clementino, di Cenzou, de La Famiglia… E’ stato bellissimo.

B: Beh, senz’altro dipende anche dal fatto che non hai snaturato il tuo stile per adattarti al contesto.

R.H.: No, infatti. Diciamo che l’ho affinato per il grande pubblico, nel senso che ho curato di più il ritornello nella speranza che potesse essere qualcosa che ti entra in testa. È un prodotto che viaggia tra il mainstream e l’underground, insomma. Spero che la mia forza sia proprio di riuscire ad accontentare tutti, sia il frequentatore del Leoncavallo che il nipotino della signora sanremese, il figlio del magistrato e quello del parcheggiatore abusivo.

B: Tra l’altro, a proposito di consenso popolare, so che dalle tue parti è enorme…

R.H.: Sì, è una cosa pazzesca, Salerno è tappezzata da striscioni e poster che invitano a televotarmi. A Napoi addirittura i negozianti non hanno voluto le locandine, dicendo “Che ce ne facciamo? Tanto lo votano comunque tutti!”. Non credo sia mai successo neanche per il calcio! (ride) Abbiamo anche lanciato un hashtag, #senecadeiltelevoto, che è nei trending topic di Twitter. L’EP è già nella top 5 di iTunes, quindi siamo molto soddisfatti.

B: Ma tu sei qui per partecipare o per vincere?

R.H.: Per cercare di vincere. O meglio, apprezzo l’esperienza del festival e tutto quello che mi ha lasciato, ma mi piacerebbe vincere. Se perdo comincio a prendere a pugni le pareti, disperato! (ride)