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Speciale Knowledge is Power: intervista a Marco Borroni (incastRIMEtrici)

21-01-2014 Marta Blumi Tripodi

Speciale Knowledge is Power: intervista a Marco Borroni (incastRIMEtrici)

Tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo affermato che questo o quel rapper è un vero poeta, ma quasi nessuno è andato in fondo alla questione. Marco Borroni l’ha fatto: approfittando della sua passione per la slam poetry e per il rap (argomenti che aveva già iniziato ad approfondire con la sua tesi di laurea, poi sfociata nel saggio Rime di Sfida) ha creato una vera e propria collana di testi antologici imprescindibili per chi vuole saperne di più. incastRIMEtrici è arrivato ormai al suo terzo volume e raccoglie praticamente tutto lo scibile e il desiderabile sull’intreccio dei due temi: dal confronto tra Sanguineti e dj Gruff ai testi di Kaos e di declamatori sconosciuti a chi mastica hip hop ma tutti da scoprire, passando per interviste a Rancore e dj Myke e molto, molto altro ancora. Ma lasciamo la parola al diretto interessato per capire qualcosa di più su questo affascinante microcosmo, così vicino al nostro eppure così diverso: il poetry slam. Tutti i libri di Marco Borroni (sia Rime di Sfida che i tre volumi di incastRIMEtrici) sono pubblicati da Arcipelago Edizioni.

Blumi: Che cos’è incastRIMEtrici?

Marco Borroni: È un progetto antologico che, partendo dalla disciplina del Poetry Slam, arriva a proporre anche molti testi rap strutturalmente degni di attenzione. È arrivato ormai al terzo volume, e in quest’ultima edizione si può dire che sia particolarmente denso, non solo per il numero di pagine, ma anche per i contenuti molto ricchi (avvalorati dai QR Code per chi ha SmartPhone o Tablet), tra cui numerose interviste ai protagonisti della scena. Un lavoro mastodontico che ha richiesto anni di costanza e impegno nel seguire l’evolversi del contesto artistico, soprattutto perché lo facevo la notte, dopo otto ore di ufficio! (ride) Il concetto di base è che il palco di un Poetry Slam è aperto a tutto ciò che è poesia declamata; e all’interno della poesia contemporanea sarebbe stato impossibile non includere anche esponenti del rap, perché ci sono mc che hanno lavorato molto sulla parola, sulla voce, sulla ritmicità, sugli incastri, sulle assonanze. Sia chiaro, comunque, che il Poetry Slam non è solo quello: all’interno del movimento c’è chi fa poesia lineare, poesia cabarettistica, poesia di impegno civile e sociale e via discorrendo. E tutti i partecipanti vengono giudicati da un pubblico votante.

B: Per la votazione ci sono regole ben precise, giusto?

M.B.: Esatto. Si sono delineate nel tempo due modalità principali. La prima: si estraggono casualmente dal pubblico cinque persone che diventano la giuria. Questa giuria deve dare un giudizio numerico per ogni performance, solitamente dal 2 al 10 (con o senza decimali). Il voto più alto e quello più basso si escludono – per evitare “mafiette” (ride) – e si procede alla somma dei tre centrali. La seconda: si decide per acclamazione del pubblico, o per alzata di mano. Io onestamente preferisco la prima possibilità, perché con la seconda accade spesso che chi si porta dietro più amici vince, anche se non è stato il migliore della serata.

B: E i rapper che ruolo hanno nel Poetry Slam?

M.B.: I rapper hanno cominciato a cimentarsi in questa disciplina sull’onda dell’affinità con il loro palco; personaggi come Scarty Doc, Tempo, Kento, Mastino, Mental D, Voltus 273 sono stati esempi trainanti in tal senso. In sostanza, declamano i loro versi sul palco senza beat. Ovviamente, in questo caso è l’ars oratoria che conta.

B: Nelle tue analisi parti sempre dalla Slam Poetry, giusto?

M.B.: Diciamo che gli studi che ho condotto sono sempre partiti dal filone più sperimentalista della poesia contemporanea – a proposito, per correttezza sarebbe meglio dire Poetry Slam e non Slam Poetry (ride). Col passare del tempo, vedendo anche quello che succedeva in America, io e altri addetti ai lavori ci siamo accorti che su questo tipo di palco era più facile trovare esponenti dell’hip hop, piuttosto che di altre voci del cantautorato popolare. Probabilmente perché è una disciplina dinamica: conta molto la performance e la proprietà linguistica, è competitiva e via dicendo. La mia tesi di laurea, che poi è diventata il saggio Rime di Sfida, toccava già l’argomento; abbiamo deciso di affrontarlo in maniera più sistematica creando un filone di analisi. A undici anni da quella pubblicazione, credo che la validità dell’idea iniziale sia stata confermata.

B: Che differenza c’è tra un contest di freestyle e un Poetry Slam, forma a parte?

M.B.: Il Poetry Slam è una vera e propria cerimonia sociale in cui il poeta dà potere alla parola, arricchendo il pubblico di significati. Ci sono punti in comune con i contest di freestyle – come l’elemento della sfida, la figura del maestro di cerimonia, il dinamismo del pubblico – ma si deve evitare di far passare un Poetry Slam come uno dei tanti talent o contest televisivi (ultimamente si percepisce qua e là questo rischio), perché non sarebbe corretto: la spettacolarizzazione becera non fa parte della nostra filosofia. La nostra è una disciplina sociale e civile, che dopo anni di immobilismo riporta la poesia in mezzo alla gente, e non si vergogna di essere quello che è o di sembrare fuori moda.

B: Ecco, appunto: di che tipo di pubblico stiamo parlando?

M.B.: Molto eterogeneo, che copre una fascia che va dai 20 ai 60 anni, anche perché non è raro incontrare declamatori “grandicelli”: è gente che magari lo faceva da anni a casa propria o nei circoli letterari, ma non aveva mai sentito così prepotente la spinta a mettersi in gioco. Poi, ovviamente, la platea cambia a secondo del contesto: se siamo in un centro sociale è un conto, se siamo in un circolo ricreativo di paese è un altro.

B: Tornando alle differenze tra un contest di freestyle e un Poetry Slam, ce n’è anche un’altra molto importante: il freestyle è improvvisazione, mentre molti dei vostri versi sono scritti…

M.B.: Gli improvvisatori sono rari, in effetti, ma non è vietato improvvisare: i poeti toscani in ottava rima, ad esempio, lo fanno spesso, e qui in Brianza è successo con Alzheimer, un ragazzo della crew Olyo Bollente, che venendo da un background più Hip Hop ha scelto di salire sul palco senza un testo già preparato. La vera discriminante tra noi è un’altra: c’è chi declama avendo davanti il testo scritto, e chi invece va a memoria… Io, ad esempio, avendo qualche problemino di sinapsi, preferisco avere il testo sottomano! (ride)

B: E il fatto di avere davanti il foglio non pregiudica la performance o i voti?

M.B.: Forse sì: chi legge parte con un piccolo handicap, perché la presenza scenica di chi ha imparato i propri versi a memoria è più d’impatto. Non è detto, comunque… potremmo parlarne a lungo senza necessariamente trovare una risposta definitiva.

B: Tornando agli anelli di congiunzione tra rap e poesia: quali sono le caratteristiche che deve possedere un mc per essere considerato anche un poeta?

M.B.: Premettiamo che stiamo parlando di due sfere artistiche autonome, che spesso hanno significativi punti di contatto. Ho iniziato ad ascoltare rap durante la tarda adolescenza, e da subito mi è parso abbastanza naturale accostare abili rapper a poeti sperimentalisti e postmoderni, innanzitutto per lo stile compositivo e il contenuto. Tutto ciò l’ho riscontrato più raramente tra i cantautori di altri generi musicali (ma questa è un’affermazione prettamente soggettiva, ci tengo a evidenziarlo). Nelle mie tre antologie ho voluto dare spazio a personaggi che erano già molto conosciuti e rispettati in ambito hip hop: dai primi Club Dogo ai Colle Der Fomento, passando per Kaos, Lugi, Turi, Esa eccetera. Ma mi piaceva anche l’idea di mettere in luce un filone più underground, meno affermato: si pensi a Gome Z Eta, Murubutu, Mental D Tek Tor, Daretta, Dope ‘N Sangre, gli abruzzesi InSolVeritas, giusto per citarne alcuni. Gente abituata a decostruire e ricostruire le parole a proprio piacimento, e che magari ha fatto una ricerca ascetica e criptica sul testo, tanto da risultare spesso difficili alla comprensione. A tratti mi ricordano poeti come Nanni Balestrini o Sanguineti, quest’ultimo messo a confronto con DJ Gruff in incastRIMEtrici Vol.3 per il loro studio sulle assonanze.

B: Di solito qual è la reazione dei rapper che vengono contattati per essere inseriti in un’antologia di poesia?

M.B.: Al 98%, grande approvazione e grande supporto. In alcuni casi – non farò nomi, ma si tratta di personaggi abitualmente più restii a dare subito il proprio consenso – ho dovuto spiegare come intendevo trattare l’argomento. Quando hanno capito che non volevo inserire i loro nomi solo perché faceva figo, hanno acconsentito. Per questo terzo volume, poi, c’è stata una piccola complicazione ulteriore: per molti rapper è spuntata fuori la figura del manager/intermediario. Quando ho iniziato con incastRIMEtrici Vol.1, dieci anni fa, quasi nessuno ce l’aveva, ovviamente… Ad ogni modo, non ho trovato insormontabili ostacoli sul mio percorso. Al contrario, ne ho avuti molti di più con Rime di Sfida: mentre questo progetto antologico propone semplicemente dei testi al lettore, senza un vero e proprio commento, Rime di Sfida era un saggio molto argomentato, e qualche tempo dopo la pubblicazione ho ricevuto pesanti critiche da rapper che non mi capivano, magari scambiandomi per un giornalista, cosa che non sono affatto. Ci sono rimasto male, ma per fortuna ho la testa dura, quindi non mi sono demoralizzato e credo di aver dimostrato che il mio ragionamento fosse valido.

B: Curiosità mia: ma un poeta di professione, come ad esempio Sanguineti che citavi prima, come fa esattamente a portare il pane in tavola? Oggi è ancora possibile fare il poeta per lavoro?

M.B.: Oggi come oggi, credo che sia ancora più difficile che fare il rapper di professione! (ride) Alcuni facevano i professori al liceo e all’università, o magari i giornalisti. Altri ancora provenivano da famiglie agiate che garantivano loro stabilità economica. In Italia, comunque, non esistono molti poeti maledetti sul modello della beat generation: avevano/hanno quasi tutti un’altra occupazione. E non esiste granché neanche il concetto di fare gruppo: solo adesso, in ritardo di quindici anni rispetto a tutti gli altri paesi in Europa, siamo riusciti a creare una vera e propria federazione italiana del Poetry Slam, la LIPS. Pensa che ogni anno ci sono i campionati europei di Poetry Slam, e per anni l’Italia non ha mai portato propri candidati, nonostante ce ne fossero di molto forti…

B: Ma come ci si confronta nei Poetry Slam a livello internazionale? È dura capire se la poesia di un finlandese o un estone ha valore o no, per un italiano o un francese…

M.B.: C’è la libertà di declamare in inglese o nella propria lingua originale. Nel secondo caso la differenza la fa l’atto performativo, ovviamente: la musicalità del verso, la postura, la gestualità, l’uso della voce… Ma la cosa più interessante è che all’estero di Slam Poetry si può campare. Ogni vittoria viene adeguatamente ricompensata, ogni spettacolo viene pagato e via dicendo. In tal senso, il mio amico – nonché vulcanico performer (ride) – Sergio Garau potrebbe citarvi dei numeri “agghiaccianti” sul confronto Italia vs Resto del Mondo.

B: Consiglia qualche nome imprescindibile a un amante dell’hip hop che vuole avvicinarsi al mondo del Poetry Slam.

M.B.: Fare nomi per me è molto complicato, i poeti validi sono davvero parecchi e rischierei di far torto a qualcuno proponendoti un elenco schematico. Se cerchiamo un buon ponte tra i due ambiti, però, posso segnalare Scarty Doc, che sale sul palco sia da Mc che da performer di poesia. O Angelo Zabaglio, scrittore e poeta con un passato da rapper. O anche Tempo, beatboxer e fine scrittore. Aggiungiamo poi, Lello Voce, Dome Bulfaro, Adriano Padua, Kento, Filippo Corbetta, Simone Savogin, Filippo Saccardo, Dutch Nazari e diversi altri. Infine Alberto Dubito, che è venuto a mancare prematuramente ma che si era già fatto ampiamente conoscere con la sua crew, i Disturbati dalla Cuiete. Lui per me era l’anello di congiunzione perfetto tra rap e poesia. Comunque ribadiamo che i fondatori e i precursori di questa disciplina sono molti di più: tutti i loro nomi li trovate all’interno delle tre antologie e cercando in Internet sui portali a tema.

B: Quale sarà il futuro della collana incastRIMEtrici? Dobbiamo aspettarci un volume 4, prima o poi?

M.B.: Considera che io campo svolgendo un lavoro di responsabile d’ufficio, quindi mi sono dedicato ai miei libri di notte e nei weekend. Arrivato a 34 anni non so quanto potrò ancora continuare a mantenere questi ritmi, ma il percorso non è destinato a finire con il volume 3, di questo sono sicuro!