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Battle of The Year: quando il b-boying diventa un film

17-11-2013 Marta Blumi Tripodi

Battle of The Year: quando il b-boying diventa un film

Nel 2001 usciva Save the last dance, un piccolo film su una ballerina classica che scopriva l’hip hop. Costato 13 milioni di dollari, ne incassò oltre 91 in tutto il mondo. Sulla scia di questo trionfo, i film di danza in cui la musica urban la fa da padrona si sono moltiplicati come funghi. Chi l’hip hop lo segue (e lo balla), però, ha l’impressione che nessuno riesca a cogliere davvero lo spirito della faccenda. Forse anche perché nessuno ci prova sul serio: è molto più semplice limitarsi a qualche luogo comune sul disagio, il sacrificio, il riscatto e i-bravi-ragazzi-studiano-balletto-i-ragazzi-ribelli-ballano-hip-hop. Ma per una volta qualcuno è riuscito ad andare più a fondo di così. Garantito da noi di Hotmc, che due anni fa eravamo sul set – unici in Italia insieme a numerosi altri giornalisti internazionali – per sbirciarne la lavorazione. Tanto per cominciare il regista, Benson Lee, non è un neofita quando si tratta di hip hop: nel 2007 ha già realizzato un premiato documentario sul Battle of The Year, Planet b-boy. E questo Battle of the Year – La vittoria è in ballo è la prosecuzione naturale del documentario, tanto che è ambientato proprio nel contest di breakdance più importante del mondo, nonché il più fedele allo spirito delle origini. Girato in parte a Montpellier, durante la finalissima del BOTY 2011, ha davvero poco a che spartire con le pellicole che l’hanno preceduto. Potete vederne il trailer (un’anteprima esclusiva di Hotmc per l’Italia) proprio qui sopra.

Una premessa sul BOTY: tutti ne abbiamo sentito parlare, ma è difficile avere un’idea della portata dell’evento, se non lo si è vissuto. Immaginatevi 14.000 persone provenienti da tutto il mondo, riunite in un unico palazzetto dello sport: africani, arabi, europei, americani, latini, asiatici, indiani, che hanno in comune solo l’amore per l’hip hop e una manciata di power moves. Oltre ai b-boy, tra il pubblico si aggirano anche centinaia di bambini; famiglie intere, nonni compresi. Il tifo è da stadio, con tanto di striscioni e trombette, e le ragazzine inseguono le star della break per ottenere un autografo, manco fossero i protagonisti di Twilight. Anche chi non partecipa al contest balla sotto al palco, tanto che sul pavimento della platea sono disegnati degli appositi cerchi in cui si alternano decine di persone ogni ora. E il livello di eccellenza di chi compete è quasi indescrivibile, per non parlare del senso di peace, unity, love & having fun che si respira in sala: vedere in gara una crew del Kazakistan o del Guatemala dà una vera idea della globalità di questo movimento.

Girare un film in un contesto simile può sembrare un’impresa molto allettante, ma quasi disperata: come si fa a trasportare sullo schermo un’atmosfera così magica? Eppure, i protagonisti di questo film sembrano esserci riusciti molto bene. La storia è semplice: un discografico hip hop (Laz Alonso, già visto in Avatar, benché in versione totalmente blu) scopre dell’esistenza del Battle of The Year grazie a un documentario. Scenario peraltro piuttosto credibile, perché il BOTY è arcinoto in Europa, ma quasi sconosciuto negli USA. Si chiede come sia possibile che una disciplina nata negli Stati Uniti sia ora dominata dagli europei e decide di mettere in piedi una squadra di b-boy americani in grado di vincere le finali mondiali, con l’aiuto di un coach (Josh Holloway, il Sawyer di Lost) e di una coreografa (Caity Lotz, recita in Mad Men ma è anche una ballerina professionista). Scambiando due parole con gli attori sul set, è facile rendersi conto del fatto che per loro Battle of the Year non è un semplice film di danza. “Per me ha più in comune con la grande tradizione dei film sportivi, come Any given sunday o Remember the Titans, ed è altrettanto intenso e struggente” dice Josh Holloway, che nel film – e nella vita reale – afferma di ballare “solo nel mio salotto, davanti allo specchio, per divertirmi; non conoscevo il BOTY e non credevo che la breakdance fosse così praticata in Europa, ma ne sono totalmente affascinato”. Laz Alonso e Caity Lotz, invece, da giovani hanno ballato a lungo in alcune piccole crew, e capiscono perfettamente lo spirito che anima i b-boy sul palco. Sono pronti a giurare che il film rispetta fedelmente la cultura del b-boying, anzi, che addirittura sia proprio quello il punto centrale del film.

Nota di colore: le scene ambientate durante il Battle of the Year sono state tutte filmate “in incognito”. La crew americana del film, formata da alcuni tra i più talentuosi breaker della nazione, è salita sul palco come se si trattasse di una qualsiasi altra squadra partecipante, senza che il pubblico scoprisse mai che erano alle prese con una scena. Superato brillantemente il test con la platea e i giudici, hanno anche affrontato una sfida con la crew coreana. Una situazione quasi surreale, perché la tensione all’interno della troupe era palpabile: e se ci scoprono? E se la scena non viene, come facciamo a rifarla? E se la gente, anziché tifare contro gli americani come previsto dalla sceneggiatura, tifa a favore? Per non parlare del sommo dramma, ovvero del momento in cui alcune crew in gara stavano per guadagnare la finale a favore di altre, stravolgendo le previsioni del copione e mettendo in pericolo la storia così come gli autori l’avevano pensata (immaginate di girare un film negli stadi in cui il Milan deve vincere il campionato, ma alla penultima giornata l’Inter è in testa alla classifica). Alla fine, però, tutto è andato nel migliore dei modi, per quanto possibile. E, a ulteriore dimostrazione di quanto dicevamo prima, le ragazzine erano talmente infottate con la breakdance da non accorgersi che a pochi centimetri da loro c’era il bellissimo Josh Holloway, uno dei volti più celebri degli ultimi anni, sceso tra il pubblico per godersi meglio le performance dei b-boy nelle pause tra un ciack e l’altro.

La morale della favola stavolta è doppia. Primo: come i musulmani una volta nella vita vanno in pellegrinaggio alla Mecca, voi fate voto di andare almeno una volta al BOTY, perché pochi eventi al mondo trasmettono altrettanto amore per l’hip hop. Secondo: concedete una chance a questo film perché, anche se non dovesse rivelarsi il nuovo Beat street, se l’è decisamente meritata. Dal 5 dicembre è nei cinema di tutta Italia.