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Quattro chiacchiere con Charles Bradley (sul serio)

20-10-2013 Marta Blumi Tripodi

Quattro chiacchiere con Charles Bradley (sul serio)

Charles Bradley è uno di quegli artisti che se non conoscete, è il momento di conoscere: una leggenda vivente del soul americano, con una vicenda umana talmente particolare che hanno perfino girato un documentario su di lui. Riassumere la sua storia in poche righe è impossibile, ma proviamoci. Nato nel 1948, a otto mesi viene abbandonato dalla madre, che lo riprende con sé solo a otto anni. Però fanno una vita talmente misera che a quattordici scappa di casa per disperazione, e vive per strada fino ai 16, dormendo sigillato dentro a sacchetti di plastica nei quali pratica un buco per riuscire a respirare. Alla fine, per fortuna, riesce a rimettersi in sesto e inizia a lavorare come cuoco, ma di notte arrotonda facendo l’imitatore di James Brown: è proprio allora che il direttore artistico della Daptone Records (quello di Sharon Jones & The Dap-Kings, ovvero la band di Amy Winehouse, per intenderci) lo scopre e lo recluta. Il suo debutto discografico avverrà alla tenera età di 63 anni, con un album dall’azzeccatissimo titolo No time for dreaming. Oggi, dopo il più recente Victim of love, è in tour in tutta Europa – suonerà in Italia l’1 novembre al Bloom di Mezzago – e lo abbiamo raggiunto telefonicamente durante la tappa di Londra per scambiare quattro chiacchiere con lui. O meglio, è Babylon, trasmissione di Rai Radio2, a raggiungerlo al telefono: questa, infatti, è solo una minuscola porzione raw & uncut della lunga intervista che ha rilasciato ai microfoni della radio: potete scaricare il relativo speciale in podcast da qui, cosa che vi suggeriamo caldamente di fare, perché a) ascoltarlo raccontare la sua vita e la sua musica con la voce rotta dall’emozione e dalla fatica di tanti anni di stenti è impagabile, b) contemporaneamente potete anche farvi un’idea della musica che fa e di come la fa.

Il tour è una situazione particolarmente faticosa per un vecchietto con i suoi trascorsi, ma Charles non sembra assolutamente sentirne il peso, anzi, vive questa nuova esperienza europea con grande gioia. “L’altra sera ero in giro in Inghilterra ed è stato uno degli show più incredibili della storia: tutti mi strattonavano, mi sollevavano, ero sballottato qua e là dalla folla che mi voleva salutare” racconta, entusiasta come un bambino. “Alla fine mi hanno sollevato in aria per trasportarmi a braccia sopra le loro teste, e io ero lì che galleggiavo sul pubblico. È un momento che non dimenticherò mai: quando si crea questa magia vuol dire che lo spirito di Dio viaggia in te e la folla riesce a capirlo. Le parole non possono esprimere quell’energia. Prima di salire sul palco prego sempre Dio di darmi la forza di trasmettere il suo messaggio ai fratelli e alle sorelle riuniti sotto il palco”. La fede in Dio, ribadisce più e più volte il nostro eroe, è l’unica cosa che lo ha fatto sopravvivere e lo ha aiutato a superare tutte le sue difficoltà e i suoi drammi, ma c’è un’altra entità molto più profana che lo ha ispirato e guidato negli anni: James Brown. “La persona che mi ha dato più input in assoluto è stato lui, perché la sua esistenza è stata molto simile alla mia: ha avuto una vita molto dura, proprio come me, e mi sono sempre chiesto com’era possibile che quell’uomo trovasse la forza di fare tutto quello che faceva, di passare dalle classifiche alle battaglie per i diritti civili lasciando sempre la sua impronta. La sua guida mi ha permesso di fare tutto quello che ho fatto. Nessuno credeva che sarebbe diventato quello che è diventato. Ancora oggi onoro la sua memoria”.

Anche fisicamente Charles Bradley assomiglia moltissimo a James Brown, ma non si sente assolutamente una sua controfigura: è un artista a tutto tondo, consapevole di esserlo. “Le mie liriche rispecchiano la profondità della mia anima, del mio cuore e del mio dolore. Quando faccio James Brown ovviamente è un’altra cosa, ma non mi considero un imitatore. Tutto quello che ho vissuto mi si è accumulato dentro e quando sento la band che suona un certo tipo di musica, le parole per comporre il testo mi escono naturalmente”. Parole molto significative, a differenza di quelle delle molte persone che lo hanno campionato, tra cui lo stesso Jay-Z, che pure ha usato una porzione del suo brano nella canzone dedicata alla nascita di sua figlia. “Ascolto le liriche dei rapper ma mi sembrano solo un insieme di oscenità e banalità. Penso che se vuoi fare il musicista in questo mondo devi lasciare un messaggio positivo, perché è già tutto abbastanza orrendo, la musica deve aiutare a dare un messaggio positivo”.

La chiacchierata con Charles Bradley prosegue sui temi più disparati, dalle sue cover dei Nirvana (ebbene sì) alla sua ricetta per le lasagne (sappiate che tira la sfoglia a mano). Se vi capitasse di essere in zona nord Italia il primo di novembre, fate un salto al suo concerto e non ve ne pentirete. Sappiate che non firmerà autografi, perché è pressoché analfabeta, ma in compenso abbraccerà ogni singolo spettatore alla fine del concerto, come usa fare di solito.