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Noyz Narcos: l’intervista

23-06-2013 Marta Blumi Tripodi

Noyz Narcos: l’intervista

Difficile definire uno come Noyz Narcos nello spazio di queste poche parole. Uno dei rarissimi rapper che riesce a comunicare qualcosa di forte anche a chi di solito il rap non lo ascolta, è un artista a tutto tondo (il suo mestiere originariamente era quello del tatuatore), un opinionista urbano, un attore dilettante di film porno, un metallaro mancato e molto, molto altro ancora. Anche per chi non apprezza del tutto la crudezza dei suoi album, i suoi live ormai sono leggenda e rappresentano uno dei pochi happening per cui la gente esce ancora volentieri di casa e si stacca dal monitor del computer. Le aspettative per il suo nuovo album Monster erano altissime, anche perché era molto forte la curiosità di come una personalità fuori dal coro come la sua avrebbe reagito al nuovo successo globale dell’hip hop: si adeguerà o si ribellerà, si chiedevano tutti? Il risultato è un disco che s’inserisce perfettamente nel solco dei precedenti (tanto che alcuni si sono lamentati del fatto che a loro dire non era abbastanza “nuovo”), senza correre dietro alle tendenze del momento. Abbiamo raggiunto telefonicamente Noyz durante il suo lungo tour: ecco il fedele resoconto della nostra chiacchierata.

Blumi: Come ci si sente a fare horror core nell’anno in cui il rap italiano è diventato il nuovo pop?

Noyz Narcos: Io ho sempre fatto questo tipo di rap. Avrei potuto venire maggiormente incontro a certe esigenze commerciali, ma sono uno dei pochi che si è sempre rifiutato, proprio perché avrei dovuto cambiare la mia musica: non ho intenzione di scendere a nessun compromesso. L’Italia è il paese che è, con tutti i suoi problemi di censura radiofonica e televisiva: se vuoi fare il genere che faccio io devi saperti muovere in contesti e ambiti adatti alle tue caratteristiche. In tutti questi anni ho tenuto duro e non ho mai ceduto alle lusinghe, e credo che questo mi sia stato riconosciuto. Non sarò mai un rapper mainstream, come quelli che ormai sono diventati pop, ma perlomeno continuo a fare rap, nel vero senso della parola.

B: A proposito di continuità, leggendo in giro i commenti relativi al tuo ultimo album, Monster, sembra che diverse persone siano rimaste un po’ deluse perché si aspettavano un’evoluzione di qualche tipo, o comunque qualcosa di diverso…

N.N.: O magari si aspettavano qualcosa di più commerciale. Devo dire, e non è solo un’opinione mia, che il nuovo e il diverso nel mio disco ci sono: il mio timbro, la strumentazione e lo stile sono rimasti gli stessi, ma le differenze con quello che ho fatto prima sono molte. Del resto, se avessi cambiato diametralmente musica non credo che avrebbe continuato a funzionare così bene e a piacere così tanto…

B: Hai dichiarato che oggi un disco rap dura a dir tanto una settimana. Qual è la ricetta per creare un album “a lunga conservazione”, secondo te?

N.N.: Una settimana è un po’ esagerato, magari avrò detto un paio di mesi… Detto questo, forse ne stanno uscendo troppi. Il che non è necessariamente un male, visto che in Italia sono sempre usciti pochi dischi. Secondo me il segreto per renderli longevi è dedicare più tempo alla loro creazione: gli artisti in major, per esigenze discografiche, spesso scrivono il loro album in un mese, lo registrano in due settimane e lo pubblicano subito, e poi ovviamente i risultati sono quello che sono. Un artista che ha già fatto altri album non riuscirà mai a trovare idee originali e valide, in un periodo di tempo così ristretto. Io, ad esempio, ho pubblicato quattro album solisti e quasi altrettanti album collettivi: per me l’unico modo di produrre pezzi validi è prendermi i miei tempi, e mi risulta congeniale continuare su questa linea.

B: Ad esempio quanto ci hai messo a concepire Monster?

N.N.: In media per raccogliere i brani di un album e ultimarlo ci metto almeno un anno, anche se ovviamente nella tracklist finale inserisco sia pezzi più vecchi che pezzi scritti di recente. Ci sono alcuni testi che richiedono più lavoro, altri invece li scrivo di botto; dipende. Questo, comunque, è il modo in cui mi sono abituato a lavorare negli anni: il mio primo disco l’ho prodotto con un musicista che suonava chitarra e basso sui beat, e ovviamente i ritmi di lavorazione erano molto più lenti di quelli di un album rap. In effetti se ci fai caso è difficile che negli altri generi, quelli dove c’è gente che suona davvero, ci mettano meno di un anno a pubblicare un nuovo progetto valido. O sei un genio della musica, o non ce la fai ad andare più spedito di così.

B: Entrando nel merito dell’album, magari è un’impressione, ma i beat sembrano molto più classicamente hip hop di quelli dei tuoi precedenti lavori…

N.N.: Sicuramente rispetto ai primi dischi, che avevano sonorità molto metal e rock, mi sono riavvicinato al rap classico. È una cosa dovuta anche ai produttori con cui ho a che fare oggi. Negli ultimi tempi ho avuto la possibilità di conoscere beatmaker più tradizionalmente hip hop e di lavorare con loro: produttori forti, che ci tengono a collaborare con me e mi consegnano una base fatta e finita che suona da dio, e che magari si ispira a quello che va forte attualmente in America, in Francia e in Inghilterra. Una vera fortuna, un po’ perché avere attorno persone entusiaste che ti consegnano prodotti molto validi è sempre bello, e un po’ perché effettivamente in questo periodo avevo davvero voglia di andare in quella direzione.

B: Parlando dei singoli brani, in Attica e nell’intro di Notte insonne parli del clima di disagio crescente a Roma, che in effetti negli ultimi anni è diventata una città particolarmente violenta e repressiva. Secondo te come si è arrivati fino a qui?

N.N.: Purtroppo la ragione è soprattutto una: i ragazzi della mia generazione, nati negli anni ’80, smettendo di votare e di interessarsi a qualsiasi cosa che non fosse divertimento e feste, si sono dati la zappa sui piedi. E in questa categoria mi ci metto io per primo, non essendo mai andato a votare in vita mia. Il mio parlare di certe situazioni è una specie di presa di coscienza: so benissimo che non abbiamo fatto nulla per evitare tutto questo.

B: In My love song c’è Tormento che ricanta alcune barre da uno storico brano dei Sottotono, Di Tormento ce n’è uno, tratto da Sotto effetto stono. Non è proprio il tipo di album che ci si aspetterebbe di trovare nella collezione di dischi di Noyz Narcos…

N.N.: Non ero un fan dei Sottotono negli anni in cui quell’album è uscito, ma quando ho cominciato a fare rap l’ho riscoperto: era un disco molto bello, e credo che sia a livello di sonorità che a livello di rap si avvicinasse parecchio agli album di Tupac o alle produzioni americane del periodo. Tra le produzioni portate avanti a livello professionale è senz’altro la più valida del periodo. Torme lo conosco da tanto e si parlava da tempo di collaborare: da una parte mi è dispiaciuto non fargli ricantare un pezzo ex novo, ma d’altra parte nel rap c’è la tradizione di citare brani storici, e volevo ricreare quell’atmosfera, perciò gli ho chiesto di poter utilizzare quei versi. Ha dovuto ricantarli perché l’acappella dell’originale era andato perso anni fa: si è impegnato a fare una voce da ventenne, l’età che aveva ai tempi, e devo dire che il risultato è notevole! (ride)

B: Cambiando argomento, l’aspetto live per te è importantissimo: hai centinaia di date l’anno e la gente accorre a vederti attirata dalla tua fama in materia.

N.N.: Infatti anche in questo momento siamo in albergo in attesa di salire sul palco, come l’altro ieri, come il giorno prima e come la settimana scorsa! (ride)

B: Secondo te perché molti rapper magari sono attentissimi a quello che succede in studio, ma non si preoccupano altrettanto della resa di quando suonano dal vivo?

N.N.: Vivere on the road come facciamo noi è faticosissimo, non molti reggono il ritmo. Ovviamente con questo non mi sto certo lamentando, anzi, ma non è una cosa per tutti: in giro in furgone almeno tre giorni a settimana, senza sosta, per cinque anni di fila… Gli show live, comunque, sono sempre stati un punto d’orgoglio per la nostra crew: la scaletta varia sempre, gli ospiti a sorpresa abbondano, e lo spirito d’aggregazione che vedono sul palco piace molto. Noi ci divertiamo davvero a suonare: molti gruppi salgono in scena tesi e scazzati, mentre noi ridiamo, scherziamo e ci tiriamo pacche sulle spalle.

B: A proposito di spirito di aggregazione, parliamo un attimo del Truceklan. Riordinando il materiale per questa intervista mi sono persa: a leggere i vari resoconti su Internet non è chiarissimo chi è dentro e chi è fuori…

N.N.: Semplice: i vecchi membri sono tutti dentro, tranne Duke Montana.

B: Che tra l’altro ti ha anche fatto un dissing…

N.N.: No comment. Non si merita neanche un commento.

B: A questo punto non mi resta che chiederti: progetti futuri?

N.N.: Sto cercando di scrivere un po’ di pezzi nuovi perché a breve mi piacerebbe uscire con un prodotto fresco, magari un mixtape o una compilation. Siamo ancora in fase embrionale, ma sicuramente ci metterò molto meno a pubblicarlo, rispetto a Monster. Tutto il Truceklan, inoltre, è pronto ad uscire con nuovi singoli, e sarò presente anch’io in questi nuovi prodotti. Seguirà a ruota un mio nuovo album ufficiale; a tempo debito, ovviamente.