Venuto fuori dall’universo del collettivo Gutter, il mondo di Gabriele, Il Guapo si fonda su pochi elementi ordinati con una grande personalità: c’è la musicalità, ci sono le melodie, c’è l’introspezione dei testi e c’è una presentazione generale rilassata ma al contempo piena di cose di dire. Sono questi i passaggi chiave anche di Skincare, il suo primo ep fuori da poche settimane e anticipato da vari singoli come Camomilla e Da Riporto. Abbiamo avuto il piacere di scambiare due chiacchiere con questo ragazzo che, come per il suo disco, è sempre pronto a ispirarsi alle più nuove e raffinate tendenze musicali: siamo passati da Mac Miller al discorso più generale sull’Rnb, dai retroscena in studio fino al titolo, al suo nome e ai collaboratori, tutto questo per scoprire insieme un progetto la cui freschezza combatte l’afa di questi giorni. Partiamo.
L. G.: Hai detto che “Skincare è l’espressione più manifesta della cura di sè” e in questo senso riveli tutta la soggettività del progetto. È più un fare musica che parli di te per te stesso o che parli di te per gli altri?
G. G.: E’ sicuramente un rapporto bilaterale quello tra me e il mio pubblico e in parte rispecchia il lato umano della faccenda: faccio musica per parlarmi e placare incomprensioni all’interno della mia persona, ma è altresì vero che una grande componente della musica, come della vita, a mio avviso, è la comunicazione, pertanto ho bisogno di cercare conferme o smentite nell’altro o anche semplicemente di offrire il mio punto di vista come riferimento o paragone per l’ascoltatore. Utilizzo spesso immagini evocative e tendo ad osservare molto, si potrebbe dire anche che parli di me tramite gli altri.
L. G.: A questo il titolo aggiunge un altro aspetto. Parli di cura di te ma perché sottolinei la “cura della pelle”?
G. G.: Questo elemento si collega a suo modo alla risposta precedente. Tornando al discorso della comunicazione, con Skincare ho cercato un linguaggio più vicino al pubblico, più di superficie rispetto ai miei lavori precedenti, come una sorte di seconda pelle, proprio per evitare di parlare esclusivamente a me stesso. Il mio obiettivo è arrivare sin da subito e fissarmi con un una canzone a primo impatto orecchiabile, lasciando sempre spazio per essere approfondito e sviscerato da parte di chi ne ha voglia. L’accento marcato sulla figura della pelle è per sottolineare quanto la cura di questa possa sottendere ad un processo più profondo di consapevolezza interiore che sfocia in qualcosa di così visibile ad occhio nudo.
L. G.: Passando al lato propriamente musicale, in svariati punti in particolare si sente la forte influenza della seminale figura di Mac Miller, che citi anche nella prima traccia. Quanto effettivamente ti ha formato e quali sono in generale le tue ispirazioni?
G. G.: In Mac ho sempre rivisto, probabilmente anche idealizzando da fan, molte delle mie fragilità tradotte in musica. Nelle sue canzoni c’è una grossa componente di divertimento ed edonismo bilanciata da una malinconia matura, figlia del processo di crescita che l’artista stava affrontando prima di morire. E’ affascinante apprezzare quanto abbia prodotto in così poco tempo, dalle release ufficiali ai beat tape sotto alter ego: era un uomo devoto alla sua creatività, nei limiti ed eccessi che spesso questo comporta. Inoltre ammiro moltissimo il fatto che avesse una marcata direzione artistica nei suoi progetti, indipendentemente da che fossero più puerili o più impegnati, ogni disco è una visione coerente del suo pensiero. Mi ha aiutato molto nella produzione e nel pensare che “if it sounds good, it is good”senza arrovellarmi in troppi fronzoli accademici. In ultimo luogo, sono arrivato a Milano nella data della sua scomparsa, proprio mentre ascoltavo Swimming, disco che ancora oggi mi parla molto: non credo nei segni, ma sono sotto una buona stella.
L. G.: Per esempio in una traccia come Camomilla è la colonna portante ma in generale la quota R’n’b in tutto il progetto è tutt’altro che velata. Ti piace muoverti in quel mondo e ti chiedo da dove proviene questa passione?
G. G.: Assolutamente. Sono figlio del Rnb di fine 90, inizio ’00 e ho sempre amato quella corrente a metà tra l’Hip-Hop e le Ballad. Attualmente sono in una fase della mia carriera dove voglio che ci sia un bel motivo, un ritornello potente e spero che gli anni passati a macinare Confessions di Usher, Ne Yo o anche Tiziano Ferro per tornare da noi si facciano sentire. Non voglio dilungarmi troppo su questo argomento perché potrei parlarne per ore, è una passione davvero grande e sono felice che l’abbiate notato.
L. G.: La tua metà in questo lavoro risponde al nome di Pianow, produttore che mette mano a tutte le tracce. Com’è nata quest’alchimia e come mai hai scelto lui per inquadrare i tuoi piani musicali?
G. G.: Alessandro è la cosiddetta manna dal cielo. Stiky, un mio amico musicista, mi ha avvicinato a lui in pieno Marzo 2020, gli erano piaciute alcune mie tracce e da lì ho iniziato a scrivere su un bulk di suoi beat lasciando sedere la cosa per mesi (tendo a precisare che non bado troppo alla quantità e spesso la vedo come un problema perché ho come il timore che si possa pensare che non voglia lavorare con determinati beatmaker o artisti: amic*, se stai leggendo questo ho la strofa che fa per te, devi solo aspettare un paio d’anni!!). E’ nata subito della chimica perché anche lui mangia pane e Soul, senza dimenticarsi di vivere quest’epoca e approfondire su tutto ciò che è attuale. Ho preferito curasse lui la direzione artistica di questo progetto perché spesso l’orgoglio la fa da padrone e ho imparato che per la buona riuscita di un disco è quasi sempre meglio perderlo o ridurlo e far inquadrare la questione a qualcuno diverso da te ma con la tua stessa visione. Penso davvero abbia fatto un buon lavoro.
L. G.: Il disco inoltre si aggiunge al catalogo di Gutter, una realtà di cui avevamo già parlato in precedenza. Torneranno anche le collaborazioni con il collettivo?
G. G.: Gutter è la mia etichetta e la mia famiglia: abbiamo iniziato questo discorso anni fa e stiamo crescendo come Network e come realtà. Ogni mia release è curata dal nostro team, dalla foto al disco, al video, you name it. Non c’è molto da dire: io sono loro e viceversa, è casa.
L. G.: Per chiudere una domanda che sorge spontanea a chi ancora non ti conosce: perché hai deciso di firmarti con questo nome?
G. G.: Ho deciso di firmarmi con questo nome sempre per un discorso di intelligibilità con il mio pubblico. Fino al 2018 ho scritto e cantato sotto il moniker di Elerbagì, un anagramma di Gabriele: lo switch è nato dalla necessità di essere più fruibile dall’altro. Il Guapo parte da una gara di nomignoli in piscina quando ancora cercavo di fissare il mio aka nella mente delle persone che spesso finivano (e non per loro colpa) per pronunciarlo male. D’altro canto il Guapo è da subito entrato: erano gli altri a chiamarmi così, quindi perché non abbracciare la cosa? Volendola vedere da un lato un po’ più “filosofico”, l’ho scelto perché un tema ricorrente dei miei brani sono le mie insicurezze, talvolta di natura estetica: un nome sfacciatamente così straight forward è sia uno scudo sia un modo per dirvi che quando canto o mi esprimo tramite la musica mi sento bello, in forze, finalmente me stesso.
L. G.: Ora che il disco è uscito, quest’estate cercherai di portarlo sui palchi o sei già focalizzato in studio per il prossimo progetto?
G. G.: Un paio di date già ci sono, prima tra tutte uno showcase al Ride di Milano il 14 di Luglio. Stiamo lavorando da matti e nonostante le avversità di questi ultimi anni sicuramente si farà qualcosa di bello. Per quanto concerne la musica ca va sans dire, sto già progettando molto: il giusto timing e le carte verranno svelate.