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Hi-Shine: l’intervista

13-01-2021 Haile Anbessa

Hi-Shine: l’intervista

“This is a man’s world” cantava qualcuno. Soprattutto se ci soffermiamo sulla scena reggae. Le Hi-Shine però, sono pronte per smentire tanti luoghi comuni e, all’indomani dell’uscita del loro disco Love Is Respect, ci raccontano come.

Haile Anbessa: come si è formato il gruppo? Hi-Shine: La band nasce con l’intenzione di mostrare a tutte le ragazze che come noi sono state dall’altra parte del palco che la musica non ha limiti né barriere e che ognuna di noi può aspirare con impegno e passione a realizzare tutto ciò che desidera, senza rinunciare alla propria femminilità ma anche senza dover vestire per forza i panni scomodi del cliché che tante donne inconsapevolmente indossano invece di scegliere di essere se stesse e di lasciarsi guidare dalla voce emancipata dalla libertà d’espressione personale.

H.A.: il reggae da alcuni è considerato un genere sessista in molte liriche. Quale è la vostra posizione a riguardo da gruppo tutto al femminile?
H.S.: naturalmente la nostra formazione è sensibile alla tematica. Sessismo ed omofobia sono presenze oscure che aleggiano spesso sotto il fomento distorto di interpretazioni religiose o pseudotali che invece di portare amore nutrono esclusivamente la logica giudicante dell’odio. L’idea di portare sul palco una formazione completamente al femminile vuole per noi ribadire la possibilità per le donne di andare oltre l’idea che nella Reggae Music i ruoli femminili siano limitati alla possibilità di essere solo vocalist monotematicamente focalizzate su liriche sessocentriche aggressive “da mangia uomini” o in alternativa liriche sentimentalistiche, focalizzate sulla subalternanza e sulla dipendenza emotiva dal partner, insomma, per le Hi-Shine oltre al cuore infranto e al twerking…c’è di piu!

H.A.: come Ladies Reggae Band avete avuto qualche difficoltà nel vostro percorso artistico?
H.S.: In realtà è giusto spezzare una lancia a favore di tutte le persone meravigliose che abbiamo trovato sotto o accanto ai nostri palchi. In linea generale siamo state sempre trattate da musiciste, ascoltate con rispetto nei nostri contenuti e difficilmente ghettizzate in quanto “donne che fanno Reggae.” Certo qualche volta il complimento era “suonate bene come gli uomini,” ma non ci siamo sentite discriminate per questo perché siamo perfettamente consapevoli che le piccole rivoluzioni causate nella nostra interiorità delle cose nuove richiedono del tempo per sedimentarsi e per aprire la mentalità delle nostre anime.

H.A.: cosa consigliereste a delle ragazze con l’intenzione di intraprendere una carriera simile alla vostra?
H.S.: di studiare tanto per raggiungere livelli di preparazione soddisfacenti e di ascoltare tanta musica a partire dalla Foundation fino ad arrivare alle contaminazioni più estreme della contemporaneità. Di non asserragliarsi dietro l’etichetta del femminile bensì di sfruttare la poliedricità, la sensibilità, la capacità di collaborazione che caratterizza le donne per farne uno strumento di forza. E soprattutto di non dimenticare che non serve una minigonna o una maglietta scollata per essere femminili al 100% anche dietro un basso elettrico o una batteria, a meno che non si indossino con la libertà dell’autoaffermazione personale verso se stesse e non per dimostrare qualcosa a qualcuno.

H.A.: quali sono i vostri artisti di riferimento?
H.S.: parlando di artiste sicuramente ci sono in primis i pilastri portanti del reggae che hanno fatto da “apripista” a tutte le donne che si cimentano nella musica in levare; dalla grande ambasciatrice Marcia Griffihs a Judy Mowatt, da Dawn Penn alla regina della dancehall Sister Nancy, da Lady G alla potente voce messianica di Sister Carol.
Parlando di contemporaneità apprezziamo molto la profondità delle liriche e l’apertura verso il Dub di artiste come Jah9 e di Hempress Sativa, ma siamo moto affascinate anche dalla fresca ed al contempo matura purezza di Koffee.

H.A.: dal roots al raggamuffin su quali riddim vi sentite più a vostro agio?
H.S.: il progetto in realtà spazia tra i generi senza schematizzare, anzi cercando contaminazioni e compenetrazioni sonore più libere possibile.
Il primo corpus di brani che abbiamo composto è stato fondamentalmente un omaggio alla Dancehall degli anni 90, con molto Raggamuffin e un sound fruibile, semplice, con continue incursioni digitali. Al momento stiamo invece andando verso una contaminazione Roots e Dub, mantenendo però una costante di liriche focalizzate su tematiche sociali, spirituali e consapevoli.

H.A.: parlatemi ora nello specifico di Love is Respect…
H.S.: Love is Respect è un album all’insegna della Consciousness, dove rabbia e amore si fondono e si compenetrano per dare voce a chi grida sul silenzio dell’indifferenza, per rivendicare un’immagine femminile emancipata dove l’amore e il rispetto per se stesse viene prima dell’amore per un partner e soprattutto non si vende a nessun prezzo. È un album che parla di una band di nove donne guerriere, socialmente impegnate, ma non per questo meno capaci di divertirsi con semplicità, di appassionarsi nell’amore e di godere a pieno della vita in ogni sua sfaccettatura.

H.A.: con chi vi piacerebbe collaborare in un prossimo futuro?
H.S.: siamo aperte ad ogni tipo di collaborazione anche e soprattutto con artisti maschili proprio perché sarebbe assolutamente insensato se proprio noi discriminassimo chi è diverso da noi no? Crediamo che dalla reciproca contaminazione non possano nascere solo diffidenza e paura, come i massimi sistemi cercano di farci credere, ma possa sprigionarsi invece solo una meravigliosa ricchezza per tutte e per tutti.