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Silla: l’intervista

23-05-2019 Riccardo Primavera

Silla: l’intervista

La Mad Soul Legacy è una delle poche crew italiane che, durante gli anni, si è sempre dimostrata coerente dal punto di vista stilistico e d’immaginario, senza però disdegnare la sperimentazione sonora e tecnica. Jangy Leeon, Lanz Khan, Weirdo, Silla: ognuno di loro è rimasto fedele alla propria visione del rap, senza però tirarsi indietro o rinnegare qualsiasi tipo di innovazione.

Dopo diversi dischi di spessore da parte degli altri componenti, quest’anno è il turno di Silla, fuori oggi con Metamorfosi, un nuovo disco interamente prodotto da Weirdo. Un lavoro che, come gli stessi artisti confermano, nasce anche dall’ispirazione del filone statunitense del team Griselda, ma che già al primo ascolto si rivela essere molto di più. Ho raggiunto Silla per farmi raccontare qualcosa del disco, dalle particolari scelte musicali fino ai featuring, che vedono un nome di assoluto spessore in tracklist, passando per le scelte liriche e tecniche.

Riccardo Primavera: Iniziamo con i convenevoli di rito: come ti senti, ora che manca pochissimo all’uscita del disco? Correggimi se sbaglio, ma sono passati quattro anni dal tuo ultimo progetto solista, e il rap è cambiato non poco dall’ormai lontano 2015. Come ti senti in questa nuova scena?

Silla: Ciao Riccardo e grazie per lo spazio. Mi sento bene, sono molto contento del lavoro svolto con Weirdo, mi sento soddisfatto, carico e con la giusta ansia di chi sa di presentare un pezzo di sé al giudizio altrui. Il mio ultimo lavoro risale al 2015 (Horror Vacui), marchiato col mio vecchio moniker Preenz. Guardando al mio passato musicale in effetti mi rendo conto di aver prodotto molto con la mia crew, Mad Soul Legacy, di aver collaborato con tanti artisti della scena, ma di aver fatto troppo poco come solista; questo sicuramente lo “pago” tutt’ora a livello di seguito personale, il cambio di identità artistica ha fatto poi il resto. Rispondendo all’ultima parte della tua domanda, artisticamente mi sento sicuramente a mio agio e a livello con tutti, ma al contempo, se parliamo di numeri e visibilità, totalmente estraneo (ride).

R.P.: Hai deciso di intitolare il disco Metamorfosi, disseminandolo poi di citazioni e riferimenti ad opere artistiche di varia natura, tutte più o meno inerenti proprio al tema della metamorfosi. Come mai hai optato per questo concept?

S.: Amo molto la storia e la letteratura classica e amo collegarla con il mio passato e con la mia quotidianità. Il tema delle Metamorfosi è una costante nella letteratura, dall’antico al contemporaneo. Ne hanno parlato Ovidio, Apuleio, ma anche Dante, Kafka e D’Annunzio. Mi intriga la magia e la sospensione che nasconde la trasformazione della carne, di come forma e sostanza possano talvolta mutare al contempo e di come questo processo possa essere un premio, ma anche una dannazione. Il discorso potrebbe andare per le lunghe, ma sento di vivere un’epoca di trasformazione, e col mio filtro ho provato a raccontarne gli esiti.

R.P.: L’intero disco è prodotto da Weirdo: hai partecipato attivamente alla creazione del sound, oppure hai affidato tutto alle sue mani?

S.: Weirdo conosce molto bene i miei gusti in fatto di beat, abbiamo lavorato a questo progetto assieme a livello di mood delle varie tracce, ma per il resto lui ha prodotto in totale autonomia. Lavorare con un beatmaker che riesce ad essere anche producer e quindi a curare il suono complessivo del disco aiuta molto.

Foto di Fabio Zito

R.P.: Nel disco si alternano citazioni storiche, artistiche, musicali, cinematografiche, momenti autobiografici, name dropping, autocelebrazione, esercizi di stile. Quanto è difficile mantenere un testo coerente e coeso, con così tanti elementi di natura diversa?

S.: Questa è una domanda a cui non so rispondere, perché io non sento difficoltà in questo e onestamente non me ne curo particolarmente. Mi interessa e mi crea maggiore difficoltà creare immagini che siano raffinate ma mai didascaliche e scontate. Io sono un ragazzo che ha studiato e che viene da una famiglia di lavoratori che hanno fatto di tutto per il benessere dei figli; ma la mia realtà è stata anche il quartiere e tutto quello che ne comporta, lo sport e appunto la musica. Mi sento come se avessi vissuto in 33 anni vite diverse tra loro, a volte comunicanti a volte totalmente in contrasto; così sono anche i miei testi. In una 16 ti posso parlare di quartiere, del degrado italiano sociale e subito dopo farti 4 barre autocelebrative. Ecco, non ho proprio lo sbatti della coesione.

R.P.: Parliamo di collaborazioni e tagliamo subito la testa al toro: com’è nata quella con Benny The Butcher? Cosa rappresenta per te la possibilità di condividere la traccia con un esponente del movimento Griselda, una delle fonti d’ispirazione per l’approccio stilistico di questo disco?

S.: Prima di parlare della collabo in questione, ci tengo a ringraziare anche tutti gli altri che hanno collaborato al disco e al progetto in generale, valorizzandolo. Il pezzo con Benny nasce 2 anni fa, era appena uscito il progetto con Green Lanthern, io e Patrick (Weirdo, ndr) siamo andati subito sotto per la sua roba. Non c’era assolutamente questo hype attorno al personaggio anche perché sarebbe stato altrimenti impossibile collaborarci. Abbiamo un amico e artista, Sean Strange, che all’epoca abitava nel Queens e lavorava in uno studio di registrazione e ci ha proposto questa collaborazione; in quel periodo infatti molti del team Griselda erano nel suo studio a registrare. Il pezzo è rimasto nel cassetto per 2 anni buoni, dapprima sarebbe dovuto uscire come singolo, poi Jangy Leeon mi ha suggerito di inserirlo nel disco a cui stavo pensando di lavorare e nel frattempo ci siamo trovati tra le mani una collaborazione con un artista con hype attorno sempre crescente; a parte questo aspetto, di cui onestamente non mi ha mai fregato molto, mi ha fatto piacere avere questa strofa nel disco perchè adoro quello che fanno a Buffalo, così come amo la wave di Roc Marciano e di altri artisti che stanno tutt’oggi seguendo la strada tracciata da Marcberg. Non ho mai avuto per questo disco la smania di inserirmi in un determinato filone ecco, anzi, il mio Ep Horror Vacui, già nel 2015 era perfettamente interprete di questo suono.

R.P.: “Sul documento hai madre e padre, stronzo uno e due”: una delle barre di Fratelli Chapman, il brano con Jack The Smoker, è un chiaro esempio del tuo approccio alla scrittura politically correct. Se nel rap sembri lascia intendere che più o meno tutto sia concesso, cosa ne pensi della piega che la questione sta prendendo nel dibattito pubblico globale?

S.: Vivo un periodo storico che onestamente mi sta logorando parecchio come uomo, prima che come artista. Il titolo del pezzo prende spunto da due artisti che ho avuto modo di conoscere lavorando in un museo d’arte contemporanea (Jack e Dinos Champan), che spesso con le loro opere rileggono la realtà in modo distopico. In quei giorni assistevo smarrito all’orrido e surreale teatrino del Family Day e delle sterili discussioni sul cambiare sul documento la dicitura genitore 1 o 2, in madre e padre etc etc ed ecco che nasce la barra che citi tu. Forse per essere capita appieno dovrebbe essere citata dal verso prima, “Non parlarmi di famiglia, Silla è sulle sue, sul documento hai madre e padre stronzo 1 e 2”.

Foto di Mattia Guolo

R.P.: In Argonauta, oltre al titolo, c’è anche uno spezzone audio estratto dal film che racconta la ricerca del Vello d’oro. La storia degli Argonauti è una metafora dalle molteplici sfumature e interpretazioni: ti senti come Giasone, o come un’altro dei personaggi?

S.: Le Argonautiche mi hanno sempre attratto come opera proprio per quello che hai ricordato nella domanda; per la loro capacità di prestarsi a numerose letture ed interpretazioni. Noi conosciamo e leggiamo la stesura di epoca ellenistica di Apollonio Rodio, ma già Omero ed Esiodo citavano le gesta di Giasone, intrise di contaminazioni esterne e probabilmente eco delle incursioni greche verso il Mar Nero in tempi remoti. Quest’ombra di ancestrale spinta verso l’ignoto sicuramente mi attrae, così come l’iniziazione alla realtà che ogni uomo conosce, presto o tardi, nella sua vita. Come ben si capisce dal pezzo però gli Argonauti per me sono anche tutti quei ragazzi della mia zona che ho conosciuto negli anni, che senza vedere luce nel proprio futuro hanno sempre guardato il domani a cazzo duro. Potrei dirti che mi sento Giasone quando con la mia musica sprono i miei ascoltatori, un Dioscuro quando entro in palestra a fare il pugilato o la lotta, anche se prendo le botte; magari Meleagro quando affilo il dardo per scrivere le mie rime, ma ti starei raccontando un sacco di stronzate. Molto spesso mi piace prendere spunto da storie e personaggi antichi anche solo per rappresentare un mood e non per forza per crearci parallelismi.

R.P.: Come ho già detto – e come avete ribadito tu e Weirdo in altre occasioni – il disco ha un suono classico, legato a campioni raffinati, provenienti da più sfumature della black music, dal soul al jazz, da atmosfere crepuscolari ad atmosfere più distese. A differenza del suono minimalista Griselda, però, qui il lavoro di produzione sembra svilupparsi su più strati: avete cercato volutamente questo effetto più “corposo”?

S.: Si certo, quello che dici è sicuramente vero e soprattutto un aspetto legato alla ricercatezza delle produzioni di Weirdo; Patrick è molto meticoloso nella costruzione di un beat e soprattutto nella post produzione; è pignolo e attento a come una sua creazione non solo debba nascere, ma anche crescere e poi confezionarsi. I suoi beat non potranno mai essere low fi perché rischierebbe di morire il giorno dopo (ride); non sai che sbatti che ho dovuto fare per ottenere un beat no-drums che a me piacciono molto (Metamorfosi). Inoltre il lavoro è stato mixato e masterizzato da Jangy Leeon presso il Caveau Studios perché sa come devono suonare i beat di Weirdo; in definitiva il disco non avrebbe mai potuto avere quella sensazione di lavoro mixato senza troppa cura che hanno le robe Griselda ma anche molta musica di Roc, oggettivamente ascoltabili solo perché fatte da loro. Avremmo rischiato di presentare un risultato forzato.

R.P.: Se dovessi scegliere una sola traccia per presentare il progetto a qualcuno che non ti conosce, quale sceglieresti e perché?

S.: Per tutti i motivi che ti ho elencato sopra e che non sto a ripetere, ma anche per il suono notturno del beat, ti dico Argonauta.

Grazie Riccardo per lo spazio che mi hai concesso. DDDictator!