Lo ammetto: sono una di quelle persone che si è entusiasmata sentendo l’inedito di Anastasio, La fine del mondo, a X Factor. Se là fuori ha messo d’accordo più o meno tutti (in ambito generalista, “Un genio” è stata la reazione globalmente condivisa da buona parte del pubblico e degli addetti ai lavori), all’interno della scena rap il dibattito è stato sicuramente più ampio. Non posso parlare per tutti quelli che lo hanno elogiato in questi giorni, perciò lo faccio unicamente per me: mi è sembrato un ottimo pezzo, soprattutto per essere la proposta di un talent che di inediti validi e originali negli anni ne ha prodotti davvero pochissimi. Per una volta, oltretutto, non era una semplice canzoncina: aveva un contenuto vero e proprio, un testo che si può analizzare in profondità e di cui si possono riconoscere originalità, visione e lungimiranza. Certo, mancava un po’ di delivery e soprattutto di cazzimma, che è fondamentale nel rap; certo, il resto del percorso di Anastasio era stato più debole, perché proporre solo cover di grandi classici in formato quasi più spoken-word e slam poetry che rap dopo un po’ ha annoiato; certo, non basta azzeccare un solo pezzo per poter dire se e quanto ha talento. Tuttavia, l’accanimento con cui molti media, fan e addetti ai lavori in ambito hip hop l’hanno bollato come “rap per chi non ascolta rap” mi ha lasciato abbastanza perplessa, per usare un eufemismo. Non sarà un Gué, non sarà un Marra, non sarà un Danno né un Kaos, e neppure un Salmo. Ma allora, se lui non è degno di ambire a fare un genere musicale in cui per ora ha dimostrato un buon potenziale di crescita (per uno che ha vent’anni, ha appena iniziato e soprattutto non ha avuto occasione di sperimentare nient’altro che un talent show con regole ferree e esigenze ben precise), cosa vogliamo dire delle decine di altri surrogati molto più immeritevoli che affollano il mercato? Stendiamo un velo pietoso? (Continua dopo la foto)
Per tutti questi motivi, ma anche per altri, sarei stata molto felice di una vittoria di Anastasio a X Factor. A livello di industria discografica e di mercato, la trovo un’ottima notizia. Finora, a X Factor, il rap era stato rappresentato soprattutto da gente mediamente scarsa (chi si ricorda di Morgan Ics?), oppure mediamente dimenticabile (chi si ricorda degli Ape Escape?), oppure da gente che in realtà cantava, oltretutto roba scritta da altri (chi si ricorda di Rochelle?), o da gente che è riuscita a collezionare solo figuracce indipendentemente da un eventuale talento (chi si ricorda di Loomy?). Insomma, da gente che formalmente avrebbe dovuto rappresentare il rap come genere musicale, ma sostanzialmente faceva l’esatto opposto: rappresentava tutto ciò che il rap non dovrebbe essere. Per una volta, invece, emergeva finalmente qualcuno da apprezzare senza troppe riserve, se non per un generico “Chissà se sarà in grado di fare altro, oltre a questo”.
Detto questo, però: c’è una cosa fondamentale, e ben più importante, che distingue chi può ambire a fare rap e chi non può. E anche se c’entra poco con la musica, non si scappa. Chi fa rap, chi si riconosce nei valori dell’hip hop, o più semplicemente chi segue, venera, vive e respira una musica nata dall’oppressione di una minoranza etnica come quella dei neri americani, NON può essere razzista. NON può essere fascista. NON può essere ambiguo sull’argomento. Senza se e senza ma. Attenzione: essere fascisti ed essere di destra, o essere razzisti ed essere di destra, sono due cose diverse. Non è vietato essere di destra, anche se per come la vedo io, se fai rap è bizzarro e abbastanza ridicolo: qualche rapper conservatore esiste sia qui che in America, soprattutto quando si parla di simpatie per capitalismo sfrenato e uso smodato delle armi da fuoco. Ma nessuno può sognarsi di spingersi più in là di così, semplicemente perché è del tutto incompatibile con i motivi per cui l’hip hop è nato, con ciò che predica da sempre, con ciò che combatte da sempre. E’ come essere cattolici e sperare che i migranti sui barconi affoghino. Quest’ultima cosa succede continuamente, dite? Vero. Ma questa non può essere una scusante. Così come non può essere una scusante dire “Sì, ma anche Lucio Battisti pare fosse un fascio”: anche se fosse, e personalmente non ci credo, faceva un genere musicale completamente diverso, meno incompatibile con idee politiche del cazzo, se così si può dire. (Continua dopo il video)
Come quasi tutti i miei colleghi oggi, ho passato parecchio tempo a spulciare il famoso profilo Facebook privato di Anastasio, e non sono riuscita a capire se ama trollare la gente (possibile), se ha solo le idee molto confuse sul New World Order, i poteri forti e la ka$ta (molto possibile) o se ha effettivamente delle idee pericolose che non riesce ad ammettere neanche con se stesso. Non lo conosco, quindi non farò l’errore di cercare di giudicarlo in base a una manciata di post e di like, anche se la tentazione sarebbe fortissima, perché alcuni di quei post e di quei like, lo dico senza mezzi termini, sono disgustosi. Anche sulle dichiarazioni di oggi, non riesco a farmi un’opinione: definirsi “pensatore libero” potrebbe essere magari una strategia comunicativa per creare più dibattito, o per non inimicarsi la maggioranza degli italiani che purtroppo è attualmente in trepida in adorazione di Salvini e soci. Oppure potrebbe essere il classico discorso che fa spesso chi ha simpatie tendenti molto a destra, nel tentativo di auto-assolversi e confondersi nella massa dei moderati. La verità, come spesso accade, emergerà da sola con il tempo, e mi auguro che Anastasio si rivelerà ben lontano da ideologie di destra, e soprattutto da Lega e Casapound, anche se il modo migliore per dimostrarlo era prenderne le distanze subito, nettamente, a viso aperto. Nel frattempo, siccome Anastasio è (forse, o forse no: speriamo di no) un sintomo e non il problema, cominciamo a schierarci un po’ di più tutti quanti: non importa quanto sia bravo questo o quel rapper, e non importa quanto sia vasta la fetta di pubblico che vota Lega o ha simpatie per Casapound. Se le tue convinzioni sono quelle, il tuo posto non è la scena rap. Perché se il messaggio non è ancora passato, è il momento di ricordarlo ulteriormente.