E’ di ieri la notizia del ritiro di Esa, uno dei rapper più importanti per la crescita e l’evoluzione della scena italiana. E’ stato lui stesso ad annunciarlo con un breve video diffuso sui social, in cui spiegava le ragioni di questa decisione: in sostanza, ha raccontato, dopo una carriera di oltre vent’anni in cui ha sperimentato ogni declinazione possibile della musica hip hop (da quello strumentale al rap più astratto e sperimentale, fino a quello più commerciale) ha realizzato che non aveva più senso continuare, sia per motivi economici/pratici che artistici. Continuerà però a fare l’artista: sia come pittore, che è la continuazione naturale della sua attività di writer che ha sempre portato avanti, sia come musicista (beatmaking e colonne sonore in particolare) e regista. Inoltre si dedicherà alla valorizzazione del suo catalogo, ristampando gli album più importanti, e valuta di scrivere libri. “Ma con il rap è finita”, ci ha tenuto a precisare. (Continua dopo il video)
Nel fargli gli auguri di cuore, ringraziandolo per tutto ciò che ha fatto fino ad oggi per la cultura hip hop e per ciò che continuerà a fare, cogliamo l’occasione per fare una riflessione un po’ più ampia. L’hip hop in Italia ha smesso di essere una musica fatta dai giovani per i giovani almeno vent’anni fa: oggi come oggi esistono moltissime generazioni diverse di ascoltatori, dagli zero ai cinquant’anni, e tecnicamente dovrebbe esserci una varietà infinita di produzioni e concerti capaci di soddisfare ogni gusto ed esigenza. La verità, però, è che la tendenza iper-giovanilista che da qualche anno ha preso piede nel mercato discografico e tra il pubblico rischia di distruggere non solo le nostre radici, ma soprattutto il nostro futuro. L’Italia del 2018 è un paese in cui un rapper di oltre 25 anni è considerato vecchio o veterano, in cui i prodotti più ragionati e meditati nei sound e nei contenuti vengono snobbati in massa, in cui è inutile per chi come noi si occupa di raccontare l’hip hop scrivere approfondimenti o cercare di andare a fondo degli argomenti, perché apparentemente a nessuno interessa più, in quanto “tanto gli ascoltatori hanno al massimo sedici anni” (come se un sedicenne fosse mentalmente menomato e non riuscisse a riconoscere e decodificare un messaggio quando se lo trova davanti). Ma l’Italia del 2018 è anche un paese in cui le ristampe dei dischi storici vanno a ruba in poche ore, e le copie originali raggiungono prezzi folli sul mercato dei collezionisti. La nostra storia ci interessa solo quando è finita, quando è vintage e fa chic, e non quando è viva e vegeta e prova a portare il peso della propria conoscenza ed esperienza a beneficio di tutti. Prendiamoci cura della nostra Storia nel presente, qui e ora, anziché rimpiangerla quando non c’è più. Anziché perdere tempo in sterili discussioni pro-trap vs anti-trap, cominciamo a pretendere spessore, valore, peso, prodotti fatti per restare nel tempo, confronto, profondità, sia da chi fa trap che da chi fa rap classico. Non lasciamoci prendere dallo sconforto e smettiamola di andare dietro alle mode del momento: finalmente c’è spazio per tutti, finalmente siamo qui per restare. Facciamo in modo di restarci davvero, tutti insieme, remando nella stessa direzione. Non esiste altro modo per restare a galla.