“Non c’è differenza tra musica nuova e musica vecchia, ma solo tra musica buona e musica di merda”, queste le parole di Danno durante il live dei Colle Der Fomento, che ha chiuso la quinta edizione dell’Under Fest. E al Bronson di Ravenna le centinaia di persone che sotto il palco sudavano, saltando, urlando e recitando a menadito le strofe dei loro idoli, non hanno assistito a musica di merda. Neanche lontanamente.
Prima ancora della musica, però, i più curiosi hanno potuto assistere a due incontri legati all’hip hop, alla scena rap italiana e a ciò che la circonda. Giovedì e sabato pomeriggio si sono infatti tenuti due meeting con protagonisti d’eccezione, pronti a raccontare la propria avventura nel mondo della musica, ovviamente da una prospettiva personalissima e unica. La prima sera sono stati Willie Peyote, Hyst e Godblesscomputers a raccontare cosa significa essere musicista: dal vivere di musica al vivere sotto i riflettori, dal rapporto con i fan alla matrice culturale della propria produzione artistica, questi sono solo alcuni degli argomenti toccati. La filosofia incredibilmente zen di Hyst, l’ironia a tratti spietata di Willie Peyote e la visione un po’ da outsider di Godblesscomputers si sono completate alla perfezione, dando un quadro quanto mai variegato della situazione. Quasi a confermare che, per far sì che la musica di ciascuno sia unica, deve esserlo anche la persona – e non il personaggio, anche se nel caso di loro tre non c’è nulla di costruito – dietro il tutto. Sabato pomeriggio si è invece parlato dello stato di salute della stampa di settore, uno degli argomenti più spinosi orbitanti intorno al rap italiano, specie negli ultimi anni. Damir Ivic (Rumore, Soundwall, RedBull), Antonio Dikele Distefano (Sto Magazine) ed Elia Alovisi (Vice, Rumore) hanno parlato delle rispettive situazioni editoriali, apparentemente agli antipodi ma di fatto più vicine di quanto si pensi. Forse si sarebbe potuto galvanizzare di più il confronto proponendo argomenti più spinosi, ma indubbiamente l’analisi che i tre hanno restituito del panorama rap italiano è stata onesta e impeccabile. E la verità è che sotto certi aspetti, sebbene faccia comodo o piacere pensare il contrario, l’intero movimento versa in uno stato di salute mai visto; il che implica che finalmente, forse, ci sono modi e mezzo per limare i restanti difetti.
Tornando all’atmosfera delle serate, volendo si potrebbe parlare di numeri visto che, dopo sole cinque edizioni, il festival – o forse è meglio dire la festa – di Ravenna, nato per scherzo da un’idea di Brain e Moder, è andato sold out: dentro al Bronson non ci si muoveva, specialmente nella serata di sabato, in cui appassionati di ogni età, dai ragazzini minorenni alle prime armi agli anziani conoscitori e cultori della cultura hip hop, alzavano e abbassavano la mano a ritmo, dalle prime file fino in fondo al locale. I numeri non possono però descrivere l’aria che si respirava dentro e fuori dal Bronson, sopra e sotto il palco, davanti al bar e dietro le quinte: sana aria di hip hop. Questo è stato anche il fulcro delle dichiarazioni degli artisti stessi. “L’Under Fest è diverso dai live normali, perché qui si respira mega hip hop nell’aria – le parole di Lethal V, intervistato sabato alla fine della serata –. Qui c’è la condivisione di un palco: durante il cypher, anche se le rime erano di un altro, ci gasavamo tutti”. Il palco non è stato però condiviso solo con rapper emergenti… “Quando Danno si è girato e ci ha fatti salire di fianco a lui è stato un momento unico – ha continuato il rapper pugliese trapiantato a Vicenza –, all’inizio di panico, che però si è trasformato in adrenalina ed è diventato bellissimo, quasi surreale”.
Il succo del discorso non cambia parlando sia con gli artisti esibitisi venerdì che con quelli che sono saliti on stage sabato. Mattak ha parlato di una “Situazione speciale”, evidenziando che non ci sia stata molta differenza, sotto questo aspetto, rispetto alla prima edizione a cui lui e Funky Nano parteciparono: “Ogni anno è diverso, non è una replica dei precedenti, ma c’è sempre lo stesso mood” ha detto l’artista ticinese.
L’articolo continua dopo la skit.
Mentre intervisto Mattak, ci interrompe Drimer in freestyle, che da tutta la sera mi stava prendendo in giro dicendo che Trento, sua città di provenienza, sia meglio di Bolzano, mia città di provenienza: “Per prima cosa fanculo Bolzano e tutti i suoi rappresentanti / Questi MCees di merda non devono venire ai party / A Trento stiamo 50 chilometri più distanti / E se si tratta di freestyle 50 chilometri più avanti / Voi volete 50 chilometri di cazzi / Trento 50 chilometri di etilometri … * interruzione * … darsi / Non riesci a entrare, quindi può darsi / Se porto questi flow non sono scarsi / Faccio freesta non ho le punch / Lo sai come funziona bevo Mcees insieme alla droga come fosse brunch / E sai che io non faccio code / mentre bevo code / Lo faccio per sperare che tu migliori con il rap / Fanculo Bolzano, Trento che sta sempre up / Voi siete finti tipo tette con il push-up / Ed è meglio che non parli tipo Pusha T / Arrivo e ti spaccio la droga come Pusha T / Faccio ancora quattro barre / Questi rapper son talmente pieni di coglioni che hanno 4 palle / Però sono vuote e per questo non procreano / Il nome è Drimer MC porto flow d’oltreoceano.
Questa era la situazione al termine del cypher di venerdì.
Tmhh è andato apparentemente contro corrente, dicendo, a primo impatto con la domanda, che quello dell’Under Fest non sia un palco particolare… Il succo del suo discorso è stato in realtà lo stesso degli altri rapper intervistati. Anzi, forse il giovane artista di Glory Hole Records ha dato ancora maggior risalto a ciò che si vive al Bronson, dicendo proprio che “ogni palco dovrebbe essere così (ma non lo è, ndr)” e individuando un altro punto di forza nel festival che quest’anno è giunto alla quinta edizione: “La cosa bella dell’Under Fest è il fatto di stare tutti insieme e conoscere tante nuove persone”.
Anche Davide Shorty, esibitosi nella serata di venerdì, ha voluto condividere la sua visione approfondita di ciò che sia l’Under Fest, facendo trasparire quanto lo ritenga un evento di grande valore: “Si tratta di una serata (riferendosi alla prima delle due, in cui era presente, ma anche in generale all’evento in sé, ndr) in pieno spirito hip hop, dove le persone stanno insieme e si vogliono bene in un modo o nell’altro. Se vai là fuori in questo momento c’è il panico, i Real Rockers stanno facendo il delirio! C’è un livello di rap che in Italia è assolutamente invidiabile. Abbiamo dato la nostra interpretazione di una cultura e l’abbiamo portata a un livello di cui possiamo essere fieri. Ognuno a modo suo, ognuno con le proprie tecniche, ma quello che ci accomuna è che tutte le persone che sono state sul palco questa sera studiano per fare questa cosa, hanno un background, una cultura, e sono ispirate l’una dall’altra”.
Dall’esempio dell’Under Fest, l’artista siciliano ha tratto regole generali per tutto il movimento: “La competizione e l’invidia nell’hip hop non devono esistere. Quando io vedo Moder che droppa le sue barre sul palco, imparo da quello che sta facendo. Questo è lo spirito dell’hip hop: ci si scambia, ci si riesce a trovare in ascolti diversi ma ci si ritrova anche negli ascolti che si hanno in comune. A lui (Moder, che era accanto a Shorty in quel momento, ndr) piace il soul e lo senti dal modo in cui rappa e a lui anche (indicando Kenzie, ndr), lo senti dallo swing che usa, nel flow. Io sono fiero di essere parte di questa famiglia e bisogna avere questo tipo di filosofia, supportandosi a vicenda e spingendo un movimento comune. Se la scena è unita, porta potere e libertà… quindi bella storia”.
Durante le varie interviste del venerdì, Egreen stava infuocando il locale proponendo al giovane pubblico le chicche del suo Dj Set e, subito dopo, i Real Rockers sono saliti sul palco e con i dubplate di Macro Marco, gli scratch di DJ Madkid, il freestyle di Ensi e Moddy hanno fatto saltare tutto il pubblico, unito dalla passione comune per la musica.
Questo lo scatto al termine del cypher di sabato
Sabato il clima, come si è potuto capire dalle frasi iniziali dell’articolo, non è stato diverso, anzi. Come durante il cypher del venerdì, che ha visto protagonisti Principe, Albe Ok, Tmhh, i Pochespanne e Leslie, anche nella seconda delle serate il pubblico ha potuto assistere alle skills di giovani – e meno giovani – rapper italiani dal talento cristallino, come Lethal V, William Pascal, Drimer, Zampa e i Moonloverz. Subito dopo è stata la volta di Brain e poi di Inoki, che hanno portato sul palco tutta l’energia e il mood di Rap Pirata, facendosi apprezzare e facendo tremare i vetri del Bronson. La chiusura della festa non poteva che essere affidata a chi questa cultura la porta avanti e la spinge con le proprie spalle e la propria voce da oltre vent’anni. I Colle Der Fomento hanno appassionato, hanno fatto cantare le centinaia di persone presenti, dispensando i loro contenuti e, infine, hanno unito nel vero senso della parola, chiamando sul palco a fare freestyle tutti i ragazzi saliti sul palco durante il cypher, alcuni dei quali nascevano quando il trio romano negli anni Novanta otteneva i primi consensi nella penisola.
Alla fine delle due serate è stato il momento di chiedere un parere finale a chi l’Under Fest l’ha organizzato e a chi ha seguito i live da dietro la console. DJ Dima, che di fianco a Nersone ha accompagnato tutti i rapper nelle loro esibizioni e ha visto da vicino tutte le edizioni del festival, ha detto: “Tutti gli Under sono diversi dagli altri concerti, perché si respira aria di condivisione, con tutti gli artisti sul palco, e vederli da dietro i piatti tutti insieme è stata una figata”.
Dulcis in fundo, parola a a Kenzie e Moder, che – insieme alla sorella del secondo, Federica, e a tutti gli altri ragazzi che hanno lavorato per giorni – lo hanno organizzato. Kenzie, direttore artistico, ha voluto ribadire quale sia il messaggio che deve passare: “Chi viene all’Under Fest, che sia per suonare o per sentire gli artisti, capisce che è un evento unico, perché non è il solito festival in cui arrivi, vedi gli artisti esibirsi e te ne vai. Al Bronson, se stai là in mezzo, la senti l’aria che si respira… è diversa. C’è ancora quello spirito che andava qualche anno fa, quando veramente c’erano cinquanta persone sotto al palco. E negli ultimi due anni abbiamo dimostrato che non si tratta di millantare l’underground, perché abbiamo portato sul palco ragazzi come Axos e Warez l’anno scorso, o Leslie e Lethal V quest’anno, che hanno suoni freschi, ma spaccano un sacco. Ciò che conta è la testa”.
E infine parola a chi ha dato vita a questa festa, Moder: “Dopo un po’ di anni ci siamo chiesti che cosa sia l’Under… L’Under è il cypher, dove riunisci una di Pescara, due di Lugano, uno di Torino, uno di Genova, uno di Recanati, uno della Sicilia o di qualunque parte d’Italia, li metti sul palco insieme e vedi che cosa succede. L’unica cosa che ci siamo sempre detti io e Kenzie è che devono essere forti dal vivo, dobbiamo averli visti, perché il palco non mente. E inoltre ci piace il fatto di avere artisti diversi, come Shorty, come Hyst e come Willie Peyote, che ci regalano particolarità e approfondimento durante i tre giorni che abbiamo a disposizione in provincia, offrendo contenuti e serietà. Se non recuperiamo la verità – ha concluso il rapper ravennate – di cosa viviamo? Di Instagram stories? Bello che la gente ci lavori con i social, ma devi coltivare le patate se vuoi le patatine fritte. E se vuoi il latte, la mucca devi portarla a casa, diceva David Lynch”. Lungi passare troppo tempo a cercare di interpretare le ultime metafore, che in realtà offrono un giusto esempio, dando un’ulteriore chiave di lettura al discorso di Moder in sé, il messaggio è chiaro: l’Under Fest è vera e propria condivisione, sano hip hop allo stato puro. Insomma, chi ama l’hip hop non può che amare l’Under Fest.