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Ninjaz MC: l’intervista

19-02-2018 Riccardo Primavera

Ninjaz MC: l’intervista

Quando si parla di grime, la mente dell’ascoltatore viaggia immediatamente in direzione nord, fino a perdersi tra il grigiore plumbeo del cielo di Londra, sferzato da pioggia e vento gelido. Lì, tra palazzoni di cemento e frenetica iperdproduttività che va ben oltre i concetto di stakanovismo, nasce infatti questa corrente del rap.
In Italia, vuoi per ragioni culturali o di legami abbastanza flebili con questo tipo di suoni, il grime non ha mai fatto del tutto breccia: sarebbe scorretto però affermare che non ci siano esponenti del genere, per quanto non moltissimi. Ninjaz MC rientra sicuramente tra questi, insieme al resto della sua crew – la Numa – che ha reso Firenze praticamente il primo polo italiano per quanto riguarda la grime. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui in occasione dell’uscita di ShowGun, il suo primo album ufficiale.

Riccardo: ShowGun è il tuo disco d’esordio “ufficiale”, sebbene il tuo nome e quello della tua crew, la Numa Crew, non siano affatto nuovi agli addetti ai lavori – e a chi bazzica la scena toscana da un po’. Ora che questa tua prima fatica è fuori, come ti senti? Sei soddisfatto dei feedback ricevuti finora?

Ninjaz MC: Come dico sempre, questo disco non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza, una base per il mio immaginario di mc. Sono molto contento per il lavoro di tutta la gente che mi sta supportando e per i feedback positivi da parte delle persone che ancora non mi conoscevano, ma il cammino è appena iniziato: ora bisogna credere fermamente in questo progetto e continuare a spingerlo in maniera costante.

R.: Come da te rivelato in precedenza, il titolo del disco è basato su un gioco di parole tra “shogun”, “show” e “gun”. Vorrei soffermarmi in particolare sul primo termine, legato indissolubilmente alla cultura giapponese. Sebbene il disco non sia in realtà esattamente ricco di rimandi a quest’ambito, la title track ha un suono d’ispirazione orientale. Come mai questa scelta? Non ho potuto non fare un collegamento – con le dovute differenze – con la traccia che apriva Konnichiwa di Skepta, c’è qualche legame con quel brano?

N.: La cultura giapponese fa parte del mio immaginario già da tantissimi anni, non a caso il nome, Ninjaz. Siccome questo disco è un po’, come hai detto tu, l’esordio, ho trovato giusto condirlo in maniera sonora e grafica con un pizzico di tocco orientale, che da sempre mi accompagna.
Forse questa è una delle pochissime cose in cui Skepta non mi ha ancora ispirato fino ad oggi.

R.: Le produzioni dell’album, la scelta dei flow e delle metriche: gran parte del disco è apertamente votato al grime, un “sottogenere” – chiamiamolo così per comodità – del rap tipico della scena urban inglese. Si tratta di un approccio che però non ha mai preso particolarmente piede in Italia: a cosa pensi sia dovuto questo mancato sbarco? La consideri una corrente stilistica particolarmente legata all’Inghilterra?

N.: Il grime è decisamente di stampo inglese, come lo è del resto lo studio metrico e stilistico che ho fatto fino adesso e che ho deciso di proporre in questo album. Per quanto riguarda l’Italia, penso che il mancato arrivo del grime nel mainstream sia dovuto non tanto al genere stesso, quanto al mercato e all’ascoltatore medio. Penso, comunque, che non si tratti di un genere semplice da recepire.

R.: ShowGun è composto da un totale di 10 tracce: si tratta di un disco compatto, dai ritmi intesi ma scorrevole, grazie soprattutto ad una discreta varietà sia nelle produzioni – che spesso divergono su sfumature leggere ma decisive – che nelle liriche. Qual è stato il filo conduttore che hai seguito nella scelta dei pezzi da inserire nel disco?

N.: I pezzi del disco sono stati scelti anche in base alla loro sonorità e al loro modo di allacciarsi gli uni con gli altri, anche se si tratta di generi, a volte, anche molto diversi tra loro. Ad ogni modo il disco voleva essere un insieme di tutti quei generi che hanno fatto parte della mia crescita musicale fino ad oggi. Per la maggior parte si tratta di pezzi grime e drum’n’bass ma c’è spazio anche per lo UK garage e la bassline.

R.: Spray è un brano dedicatolo alla nobile arte del writing, una delle discipline più “rischiose” dell’hip hop, per ovvi motivi. Nell’immaginario che si sta costruendo nella nuova scena rap italiana però, l’attenzione verso il writing sembra drasticamente scemata. Qual è stato il tuo primo approccio con questa disciplina? Come rispondi a chi, spesso e volentieri, definisce il writing vandalismo e non espressione artistica?

N.: Per rimanere in ambito musicale, sociale, posso dirti che la nuova scena ha, forse, perso un po’ tutta la cultura e la visione del mondo che c’era dietro il movimento dell’ hip hop e delle quattro arti, o quantomeno, se ne è distaccata. Anche se un po’ tutte le forme dell’ hip hop stanno vivendo un evoluzione: sono diventate sempre più mainstream e alla portata di tutti. Un po’ quello che è successo al writing che oggi sta trovando sempre più spazio nelle gallerie che promuovono street-art.

R.: Nello stesso brano si alternano, nella produzione, elementi tipici del suono drum’n’bass e altri dal suono hip hop classico: come convivono questi due elementi nella tua produzione musicale? Quanto è difficile far convivere delle sonorità così diverse – a partire dai bpm sino alle atmosfere evocate – in una singola traccia?

N.: La maggior parte della musica elettronica, al giorno d’oggi, è nata dal campionamento quindi, spesso, è una fusione di più generi o un riadattamento di un genere vecchio. La drum’n’bass ad esempio nasce da un campione di batteria funky gospel: l’ Amen break. Radice comune con l hip hop. Non è difficile mescolarla con il reggae,con il soul o con l’ hip hop.

R.: Tu e la tua crew siete legati ad una città, Firenze, molto legata al mondo del rap italiano; praticamente tutti gli artisti, dai più grandi ai più piccoli, fanno una tappa fiorentina durante i loro tour. Nonostante ciò, negli anni sembra essere mancata una figura artistica in grado di catalizzare l’attenzione della scena su Firenze: augurandoci che il tuo percorso possa portarti ad assumere questo ruolo, a cosa pensi sia dovuta questa assenza? Come vedi la scena fiorentina al momento?

N.: La scena fiorentina è, ed è sempre stata, molto ridente per quanto riguarda gli artisti coinvolti, mentre invece c’è sempre stato un problema di ambiente fisico per la crescita della scena e della cultura dietro ad essa. Questa mancanza è dovuta largamente alla volontà delle istituzioni di non spingere la cultura musicale underground fiorentina e quindi di non investire sul futuro della propria scena.

R.: Restiamo in orbita fiorentina, ma spostiamo l’argomento al calcio: hai scritto Gol, un brano farcito di metafore a tema calcistico. Come vivi il tuo rapporto con questo sport? Sei tifoso? E soprattutto, che squadra tifi? Sebbene in quest’ultimo caso la risposta forse è scontata…

N.: Ovviamente Fiorentina.
Il mio rapporto con il calcio è un po’ particolare. Ho giocato tanti anni a calcio, ma non mi sono mai interessato a pieno di questo “giuoco” ai massimi livelli. Forse perché è uno degli specchi di questa società malata in cui, a volte, è meglio non riflettersi. Ma il gioco in sé, dentro le linee del fallo laterale, è molto affascinante e pieno di potenziali metafore zen.
Forza Viola.