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Frah Quintale: l’intervista

17-01-2018 Marta Blumi Tripodi

Frah Quintale: l’intervista

Quando d’inverno resti chiuso nella stessa stanzetta buia per troppo tempo, a respirare la stessa aria viziata che torna ciclicamente in circolo, può capitare che uscendo finalmente all’aperto allo scoccare della primavera il vento fresco ti colpisca come uno schiaffo in faccia. I tuoi polmoni non ci sono più abituati, la luce ti ferisce gli occhi, il cinguettio degli uccellini è un rumore quasi fastidioso. Basta qualche minuto, però, per sentirti piacevolmente rigenerato/a e porti la fatidica domanda: “Ma come facevo a starmene lì dentro?”. Ecco, quel tipo di sensazione è la stessa che ti coglie quando ascolti dischi come quello di Frah Quintale: Regardez Moi è un cambio di prospettiva talmente gradevole e azzeccato nella sua semplicità da regalarti la stessa sensazione del disgelo. E’ il tipo di album che magari non ti rivoluzionerà la vita, ma rivoluziona percettibilmente il tuo modo di vedere le cose, aprendoti la mente a scenari di cui non ricordavi neanche più l’esistenza. Non a caso è stato uno dei più citati da artisti e addetti ai lavori nelle nostre classifiche di fine anno, e a distanza di diversi mesi dalla sua uscita continua a mietere consensi, anche tra i duri e puri più insospettabili. Incontriamo Frah nella sede della Undamento, la sua etichetta (la stessa di Coez, con cui forse condivide la stessa filosofia e l’approccio al rap, ma differenziandosi decisamente per stile e modalità): il tour è appena partito e sul tavolo ci sono centinaia di copertine bianche, quelle dell’edizione limitata del disco, che sta disegnando a mano una per una. Ne deve produrre 500 e quindi ogni momento libero è dedicato a quello, ma per fortuna riusciamo a ritagliarci un po’ di tempo per scambiare quattro chiacchiere. (Continua dopo la foto)

Blumi: Partiamo dall’inizio: come ti è venuta l’idea di staccarti dal rap tradizionale e cominciare a virare verso la melodia?

Frah Quintale: Non sono mai stato uno di quelli che ascolta solo rap, e mi è sempre piaciuto cantare. Mettici anche il fatto che non amo molto le cose standard, né nella musica né in tutto il resto: anche nel writing o nel disegno, per dire, ho sempre cercato uno stile personale e vario, perché provare cose nuove mi stimola molto. È andata così ed è stato tutto molto naturale, insomma.

B: C’è stato un momento di svolta, per così dire, in cui hai capito che non saresti tornato più indietro?

F.Q.: Forse quando siamo arrivati a Milano con i Fratelli Quintale, nel 2014. A Brescia già ci conoscevano, avevamo un pubblico, quindi non avevamo un gran bisogno di distinguerci dagli altri, perché già sapevano chi eravamo. A Milano, invece, c’è molta più competizione, era necessario trovare una nostra chiave. Il rap l’ho studiato, ho imparato a farlo, ma sapevo di avere dei limiti; visto che però la mia voce si prestava al canto mi sono detto “Sticazzi, proviamoci”. Avevamo un home studio e il nostro appartamento praticamente non aveva vicini, perciò ci facevamo le nottate a suonare e sperimentare.

B: A proposito, di fatto i Fratelli Quintale esistono ancora?

F.Q.: Per ora il progetto è in pausa: dopo tanti dischi insieme ognuno aveva voglia di lavorare su di sé, di fare una ricerca personale. È bello avere un gruppo, ma devi sempre cercare una mediazione, una linea che vada bene a tutti, uno stile comune. Da parte di entrambi c’era la voglia di iniziare investire su di noi come singoli, e abbiamo deciso di prenderci un periodo di stallo.

B: Una cosa molto apprezzabile di Regardez Moi è che sei riuscito a trovare una dimensione molto personale e unica nel suo genere: sulla carta c’era il rischio che tu assomigliassi ad altri “cantautorapper”, ad esempio a Coez che tra l’altro è nella tua stessa etichetta, e invece non è affatto così…

F.Q.: Ovviamente ci sono degli artisti a cui guardo e che ammiro, soprattutto all’estero: pensando all’America mi sento molto vicino al mondo dei The-Internet o a Tyler the Creator, e gente come Anderson.Paak e Chance the Rapper mi hanno ispirato tanto. È black music, è hip hop, ma non in senso tradizionale. Certo, resto comunque un bianco italiano di Brescia, ma ambisco a fare quello che fanno loro! (ride) Più che confrontarmi con altri connazionali, mi piacerebbe diventare competitivo anche altrove: vorrei che anche chi non capisce una parola di italiano, ascoltando le mie canzoni, capisse al volo che si tratta di produzioni di qualità. Non ho mai studiato nessuno strumento, e neanche canto, ma ascolto tantissima musica e ho un ottimo orecchio. Cerco di imparare il più possibile da quello che sento. Credo che questa istintività si senta molto.

B: Da un po’ circola questa voce tra gli addetti ai lavori: è vero che c’è già una major che vorrebbe metterti sotto contratto per scrivere canzoni per altri?

F.Q.: In realtà no! (ride) Mi è capitato di scrivere canzoni per altri, ma è una cosa che mi diverte molto, ma lo faccio per conto mio con Ceri, niente major. Non voglio dire per chi ho scritto, però: preferisco tenerlo per me, per ora. Tanto la notizia prima o poi dovrebbe diventare di dominio pubblico, se la cosa va in porto.

B: Restando in tema di voci, si dice che un sacco di artisti diversissimi tra di loro dichiarino di aver apprezzato parecchio il tuo album: da Bassi Maestro a Luché e Achille Lauro passando per Francesca Michielin…

F.Q.: Un sacco di persone insospettabili, lo so! Ti dirò, quelli di artisti in apparenza hardcore, che non ti immagini proprio ad ascoltare un album come il mio, sono i complimenti che preferisco, perché sono i più inaspettati.

B: Tornando al sound, quello di Regardez Moi è molto coerente, ma allo stesso tempo non è molto vario. Come mai non hai inserito più brani come Avanti/indietro o Accattone, che sono le due tracce più singolari del disco?

F.Q.: Perché la varietà avevo cercato di metterla soprattutto in Lungolinea, che essendo una playlist nata proprio con quello scopo, ovvero di definire una timeline e tutti gli stati d’animo possibili che puoi attraversare in un dato periodo, mi sembrava più adatta allo scopo. Per me ha più senso che l’album sia un prodotto coerente, con un inizio, una fine e uno sviluppo. Insomma, era un effetto assolutamente voluto.

B: Ecco, parliamo di Lungolinea. Come ti è venuta l’idea?

F.Q.: Perché scrivo e registro molto: sono uno di quelli che apre dieci pezzi diversi in una settimana, magari senza chiuderli mai. Alcune cose magari sono valide, però non sono più nel mood di lavorarci. Non mi andava di sprecare pezzi che avevano un bell’input, anche se non erano completi, così ho deciso di “parcheggiare” queste produzioni in Lungolinea, che era una specie di cartella Dropbox, tipo quelle che condividi con gli amici e le persone con cui collabori per far vedere a che punto sei e avere un parere. Oltretutto io vengo dalla scuola della Stones Throw, in cui questo tipo di modalità è molto utilizzata: ricordo ad esempio un disco dei Lootpack che si intitolava The Lost Tapes ed era un insieme di pezzi d’archivio mai usciti, della durata di due minuti o giù di lì. Sono contento che la gente abbia apprezzato. Ed è servito: Accattone, ad esempio, era una traccia scartata che avevo presentato su Lungolinea, ma è piaciuta così tanto che alla fine abbiamo deciso di metterla anche in Regardez Moi. (Continua dopo il video)

B: Cambiando argomento, anche i visual di Regardez Moi (sia la grafica che i video) sono molto particolari e curati. È piaciuta molto l’idea del puppet umano con la testa gigante che compare anche nei video…

F.Q.: Quando avevo fatto l’EP 2004 avevo realizzato cento copertine disegnate a mano, e mi capitava spesso di disegnare la mia faccia a mo’ di puppet o di maschera: avendo dei trascorsi da writer, mi riusciva facile e spontaneo. Mi faceva ridere l’idea di indossare una maschera che però fosse effettivamente la mia faccia, così ho deciso di farlo davvero. Mi sono guardato un po’ di tutorial e l’ho effettivamente costruita da solo, tipo Art Attack, usando una palla da pilates per creare la struttura e aggiungendo strati e strati di cartapesta, uniti con la colla a caldo e poi pitturati. Alla fine ho inserito anche un casco da bicicletta all’interno, per poterla indossare. Insomma, una fatica folle! Ci ho messo due settimane. Mi sono ispirato chiaramente a un film, Frank, e infatti la gente che commentava mi ha castigato pensando fosse un plagio… (ride) Ma il riferimento era così chiaro che non pensavo ci fosse neanche bisogno di dichiararlo, onestamente. Però sono contento che chi che mi ascolta sia così attento ai dettagli.

B: Insomma, felice dei riscontri, in generale?

F.Q.: Assolutamente. La strada per arrivare fin qui è stata lunga e tortuosa, a volte mi sembra di aver sostenuto un colloquio di lavoro lungo dieci anni e di essere finalmente stato assunto! (ride) Voglio godermela e suonare un po’ in giro, non ho ancora pensato a cosa farò dopo. Anche perché sono un gran pessimista, ogni volta che ho una data temo sempre che non venga nessuno. E invece sta andando benissimo anche il tour! Devo ancora rendermi conto bene di quello che mi sta succedendo.