Da qualche anno a questa parte, chi dipinge in una situazione di illegalità – indipendentemente che si parli di un muro abbandonato per il quale non c’è un permesso, un treno della metropolitana o un monumento, e indipendentemente che si parli di un writer o di un semplice vandalo – rischia anche più grosso del solito. Già, perché a complicare la situazione è arrivato il decreto legislativo numero 7 del 15 gennaio 2016, che modifica l’articolo 639 del codice penale inasprendo le pene e dando il via libera a una serie di aggravanti come l’associazione a delinquere (per le crew) o la premeditazione (se avete in casa bozze e bombole, ad esempio).
Il primo risultato di questo tipo di normativa è stato una raffica di condanne davvero spropositate, tra cui l’ultima a novembre, a Milano, in cui un writer è stato condannato a sei mesi e venti giorni di reclusione: pare dovrà effettivamente scontare la condanna in carcere e che durante la detenzione si vedrà oltretutto aumentare ulteriormente la pena, perché ha diversi altri processi a carico (ogni reato di imbrattamento viene perseguito singolarmente, perciò ogni volta che è stato fermato, o riconosciuto come autore, per una tag o un pezzo, viene aperto un nuovo procedimento penale). Attualmente il writer in questione vive in Cina, dove lavora come grafico, ma nel momento in cui dovesse rimettere piede in Italia scatterebbe implacabilmente l’arresto. (Continua dopo la foto)
Il problema, oltre che etico e sociale, è anche di ordine pubblico, perché le carceri sono già pienissime e se dovessimo pensare che ogni singolo writer venisse condannato a scontare tot mesi di prigione, il sistema finirebbe al collasso. Ma il paradosso è anche legale, tant’è che una di queste condanne è finita anche davanti alla Corte Costituzionale, perché violerebbe l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Il motivo è molto semplice: come scrive Repubblica, “chi prende a picconate una parete rischia al massimo una sanzione pecuniaria amministrativa (in pratica, una multa), mentre chi vi traccia sopra scritte facilmente cancellabili rischia da uno a sei mesi di carcere”. Due reati simili, quindi, vengono puniti in modo assolutamente dissimile, e oltretutto quello più grave (distruggere) riceve una punizione più leggera di quello meno grave (imbrattare). Insomma, siamo di fronte a una norma abbastanza contorta, oltre che apparentemente iniqua.
Di fronte a questa situazione Wiola, una realtà milanese che si occupa tra le altre cose di “liberare” i muri lasciandoli alla creatività dei writer, ha lanciato un appello per spingere le istituzioni a cambiare l’articolo 639. Tra i primi firmatari ci sono molti nomi noti: da rapper come Caparezza e Esa a street artist Ivan e Pao, passando per innumerevoli writer veri e propri, giornalisti, organizzatori di eventi, fotografi, musicisti e perfino politici. Per firmare l’appello è sufficiente mandare una mail qui: noi l’abbiamo già fatto.