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Oro, radici e vinile: un anno di Blo/B

12-10-2017 MDJ

Oro, radici e vinile: un anno di Blo/B

Frost VS Nixon è, a mio avviso, uno dei migliori film degli ultimi dieci anni. La storia vera di un conduttore che, considerato da tutti un cabarettista di successo, diventa a tutti gli effetti il più importante giornalista d’inchiesta dei ’70. Nel film, a un certo punto, il voiceover dice una frase del tipo; “Ed è incredibile pensare che questa impresa sia stata compiuta dal più inaspettato dei cavalieri bianchi”. Per le parole esatte dovrei rivedere il film, ma durante tutta l’intervista a Blo/B continuava a tornarmi in mente questa citazione. Perché dieci anni fa non avrei mai pensato che la bandiera della vecchia scuola milanese sarebbe poi andata nelle sue mani. Non per una questione di qualità né di stile, quanto più per il fatto che lo vedevo come un mc dedito al suo percorso e non alla totalità della scena. Invece mi sbagliavo. L’ho capito in via Fara quando ha cantato i pezzi del suo album su un palco allestito in un camion fuori dal Lambretta, l’ho capito per la seconda volta ascoltando La mia Emme I. L’ho capito la terza volta intervistandolo, dopo un anno di live, incontri, feat ed esperienze, a pochi giorni dalla pubblicazione del vinile di Età Dell’Oro, traguardo agognato da ogni mc che abbia nel sangue le radici con la doppia h.

MDJ: Milano Est, 9 ottobre 2017, un vino, una birra e un anno dalla pubblicazione di Età Dell’Oro, disco che a mio avviso entrerà un po’ nella hall of fame di questi anni per il suo spessore culturale. Cos’è successo in un anno di questo album?

Blo/B: Età Dell’Oro mi ha fatto fare quello scalino in più personale che auspicavo da un po’ di tempo. A livello di qualità della mia musica, di quello che dico. Sono riuscito a fare il disco che avrei sempre voluto fare, un album vero, che fila dall’inizio alla fine. Mi ha fatto togliere grosse soddisfazioni, come l’essere sul disco di Kiave, su quello di Mr. Phil e su quello di Dj Argento. È stata una cosa che mi ha aperto porte, di alcune però non posso ancora parlare. Comunque diciamo che, come spesso mi succede, è stato recepito molto bene dagli addetti ai lavori. È anche un po’ una sofferenza questa cosa, il fatto che il pubblico riceva meno della mia musica rispetto ai rapper e ai produttori.

MDJ: Ed è per questo che ti chiedo: l’hip hop è sempre una sorta di affresco che si compone delle tessere del puzzle dei suoi artisti. Quanto secondo te è servito contribuire alla scena con un disco che riscopre i valori dell’hip hop più puro.

B/B: Diciamo che per me non c’è sforzo a fare un disco hip hop, essere hip hop. Come ben sai ci siamo vissuti in mezzo, fino al collo, dentro la cosa, dentro il writing, dentro la break, dentro certi valori. Non è difficile per noi, come per Kuno, come per Jack (the Smoker, ndr), come per chi ha vissuto un certo periodo. Non è difficile essere hip hop perché l’abbiamo proprio vissuta la cosa. A me quello che è piaciuto, quello che ho cercato di fare è stato inventare qualcosa che riesce a suonare adesso ma con un certo background. Ma come se senti adesso i dischi in America. L’A$AP Rocky del momento, il Pusha T del momento, il Kanye del momento, nei loro pezzi citano sempre qualcosa che c’è stato. Anche nel pezzo più zarro c’è sempre una citazione di quello che c’è stato. Ed è quello che mi gasa tanto vedendo l’America. Io ho sempre in testa il live dei Dipset, ai tempi in cui erano il gruppo più zarro, più esposto del momento, che facevano il live con dietro la murata di Big L ad Harlem. Quella è per me la strada da seguire. Fare il proprio ma cercando di tirare fuori le tue radici. Io non ho deciso di dire “in questo periodo faccio un disco hip hop”. Io ho voluto fare la mia roba, il Blo/B di adesso, e metterci tutto quello che mi sono portato dentro fino a questo punto. È una roba molto americana e poco italiana. Diciamo che in Italia adesso si tenta quasi di mettere da parte quello che c’è stato per tenersi il pubblico nuovo come se fosse un “sono capitato qua e ho inventato io tutto”. Ma sanno tutti che è un gioco, dal primo all’ultimo, per non disperdere il pubblico. (continua dopo la foto)

Ph: Fabio Zito, tutti i diritti riservati

MDJ: Tra tutte le tracce presenti sull’album, La mia Emme I. Un pezzo molto figo, una vera e propria hall of fame del periodo “d’oro” dell’hip hop milanese. La cosa che mi ha colpito è che non c’è nostalgia ma una sorta di tensione verso il futuro. E allora penso che tu sia la persona perfetta per fare un’overview di Milano e della sua scena.

B/B: Secondo me, in questi anni, ultimamente, soprattutto a Milano è pieno di gruppi e realtà fortissime come non ce n’era da tempo. Ti parlo di Mad Soul Legacy e di gruppi e crew che stanno uscendo fuori forti e sempre nel rispetto reciproco. Tipo ai cyper vedere il ragazzino di Paderno, Omega Storie, vedere Medda che fa il suo sedici ed esplodere a ogni chiusura, quella secondo me è la cosa più figa che esiste. Quello che noto è che di Milano viene fuori tanto la superficie, quando a un livello, non dico underground, perché fanno i numeri, ma non di jet set per renderti l’idea, c’è tanto fermento. Vedi un Lanz Khan ad esempio. C’è tanta gente che fa tanto oltre agli artisti mainstream, che giocano giustamente il loro campionato.

MDJ: Tu pensi che l’hip hop sia destinato a riprendersi le strade? Oppure la forbice tra gli artisti di punta e quelli di niche è destinata ad allargarsi?

B/B: Ecco è il problema di Milano. Diceva sta cosa Nerone. Uno che viene da fuori dice che non essendo a Milano è difficile uscire. Ma se tu sei di Milano, per avere un nome a Milano devi sgomitare con più della metà dei rapper italiani. Farsi un nome a Milano non è un c***o facile, perché la concorrenza è duecento volte più pesante. Fatto sta che secondo me ci sono cose importanti sia a livello alto che a livello più “nascosto”. Il mio sogno è che ci siano due mercati paralleli forti: uno per la musica esposta e l’altro per i prodotti più ricercati e meno vendibili. Tanta gente da fuori Milano si ferma alle prime cose che vede. Io ho fatto La mia Emme I e ho fatto i Cypher perché volevo far vedere che a Milano non c’è solo il “classico pezzo alla milanese”. Volevo far vedere lo spessore e le mille sfumature di questa città. Ad alcuni fa comodo vedere solo la prima cosa che viene fuori, ma non è la realtà.

MDJ: Dopo un anno Età Dell’Oro diventa vinile. È un traguardo e un modo di celebrare un progetto nato bene e cresciuto meglio?

B/B: Esattamente. A me sarebbe piaciuto sempre farlo, poi c’è stata questa occasione con Tannen Records e per me, a un anno dall’uscita, è una sorta di cerchio che si chiude. Soprattutto in un momento in cui il vinile ha ritrovato importanza, sta diventando un mercato di un certo tipo di musica. La cosa figa è che rappresenta il mercato di un rap più sotto la superficie.

MDJ: Tu lavori, sei papà. Eppure dal mio punto di vista sembri più infottato e più attivo di quando era tutto un po’ più easy.

B/B: È proprio così. Perché vedo che quello che faccio ha sempre più uno scopo ben preciso, una personalità ben precisa. E comunque sento anche io che in questo momento, anche se è tardi rispetto ai canoni, quello che faccio ha la qualità che ho sempre voluto avere. Da un certo punto di vista mi sento il fiato sul collo per ragioni anagrafiche, tantissimo. Dall’altra parte penso che sia il momento in cui, se quello che faccio mi soddisfa, sia giusto non smettere.

MDJ: Il 2018 è tra tre mesi. Per Blo/B ci sono progetti all’orizzonte?

B/B: Sì. Un paio. Sto lavorando al mio disco, anche se non voglio dire i tempi. Nei prossimi mesi però faccio uscire un singolo con uno dei migliori produttori italiani, ma anche qui non rivelo nulla. E poi sto lavorando coi Drammachine a un seguito del lavoro che abbiamo fatto prima con Apoc e Mastino. È la cosa che abbiamo in cantiere adesso. Ti anticipo anche in esclusiva che nei prossimi mesi uscirà una sorpresa enorme. Per me per primo.

MJD: Età Dell’Oro è uscito molto sui social network. Una persona “poco corrotta” come te come vede i social, come li considera e quanto pensa possano essere utili alla causa.

B/B: Io premetto che li uso abbastanza. Ma li uso solo in un senso: per dare e ricevere musica, conoscere nuovi artisti, scambiare idee. Io di cose serie non parlo, perché esce sempre il peggio, io la chiamo l’automobile del 3000, la gente chiusa in auto che si manda aff****o perché tanto è chiusa dentro e può permettersi di dire quello che vuole. Per me invece i social sono il modo primo per far uscire le cose ed entrare in contatto. Mi sono connesso per esempio con alcuni artisti americani, gli ho fatto sentire le mie cose, è stato bello. Però se presi in modo errato i social sono il vomito, dove tutti fanno finta di stare bene per colmare un vuoto che c’è davvero nella vita reale.

MDJ: Torniamo alla musica. Strutturami la mia nuova playlist preferita, dove ci sei tu e altri cinque artisti.

B/B: Fammi pensare. Uno è Anklejohn che ho conosciuto per caso sul sito della Mass Appeal. Poi ti dico tutto ciò che esce dalla Griselda (Ad esempio West Side Gunn e Conway). Invece i miei riferimenti adesso come adesso sono SchoolBoy Q e Pusha T, per me loro sono proprio obiettivi. Come italiani invece ti direi quello che sta facendo uscire Mad Soul Legacy. È uscito Jangy Leeon col disco ed è potente, Lanz Khan, tutti bravi ragazzi che sono belli forti e solidi. Poi vabbè se ti posso fare un sesto ti dico Johnny Marsiglia, per me è uno dei migliori degli ultimi dieci anni senza dubbio.

Facciamo un brindisi. Lo guardo. Ci conosciamo da forse quindici anni. Eppure è come stare con una persona nuova. Nonostante tutte le avversità della vita quotidiana che ognuno di noi possiede, la figata di Blo/B è che sembra non essere sfiorato da nulla. Sta facendo quello che ama. Il resto passa in secondo piano.