Chiunque abbia ascoltato un disco di Kiave o abbia avuto occasione di conoscerlo si è fatto l’idea di una persona solare, pacata, sempre positiva, che ha fatto della voglia di fare il suo marchio di fabbrica. Risulta quasi impossibile immaginarselo incazzato, fosse anche solo per una giusta causa. A quanto pare, però, il nostro eroe non è così imperturbabile come si potrebbe pensare; e meno male, aggiungeremmo, perché con Stereokilling abbiamo scoperto che i motivi per cui è incazzato sono gli stessi per cui lo sono anche molti di noi. Lo abbiamo ascoltato in un contesto privilegiato, ovvero negli studi di Macro Marco, in compagnia di alcuni colleghi, dello stesso Kiave e di Gheesa, che ha prodotto tutte le tracce dell’EP fatta eccezione per l’ultima: oltre a raccogliere in diretta i nostri riscontri ci hanno anche spiegato il significato dei pezzi e la lavorazione di ogni singolo brano.
Stereokilling è un EP che nasce da una costola di Stereotelling e da stimoli molto positivi: “L’esperienza dei laboratori di rap che porto avanti in carcere, ad esempio, o la conoscenza di alcuni giovani freestyler che nell’ultimo periodo mi hanno fatto davvero ben sperare per il futuro della faccenda” racconta Kiave. Ciononostante, si tratta di un progetto molto più cupo e viscerale dell’album genitore: il perno è una critica (costruttiva, come nello stile di Kiave) a un certo modo di percepire e vivere l’hip hop. O meglio, è una critica a chi cerca di alimentare i contrasti e le guerre interne, anziché lavorare per creare qualcosa di solido e duraturo. “Mi sono stancato di quello che vedo: finora non ho parlato, ma ho capito che bisogna sporcarsi le mani ed esporsi, altrimenti resterà sempre tutto uguale. Come dico in Mani sporche, la prima traccia che è un po’ un manifesto di tutto l’EP, i vecchi ce l’hanno coi nuovi e i nuovi coi vecchi, e questo non va bene. La gente si sfoga su Facebook, ma io sono una persona molto poco social: non posso che sfogarmi nelle mie canzoni. E sentivo il bisogno di lanciare questo messaggio”. Stereokilling ha una struttura circolare – molto cara a Thelonius Monk, che non a caso è uno degli idoli di Kiave – e si apre e si chiude con messaggi analoghi: se la prima traccia può essere letta come un monito alle nuove generazioni, l’ultima Eva Braun (SoundClown) è una critica a quelle vecchie, che hanno scelto di “sposare il male” (Eva Braun era l’amante di Hitler, che l’ha sposata in punto di morte) dettando legge e mettendo paletti spesso impossibili da rispettare, e pontificando su ciò che è hip hop e ciò che non lo è. “Ma non mi riferivo a nessuno in particolare” ci tiene a sottolineare. “O meglio, mi riferivo a una categoria di persone: quelli che hanno smesso di fare musica da anni, a volte anche da decenni, eppure si sentono ancora in diritto di dire che solo loro hanno in mano le chiavi del vero hip hop. Non mi piacciono gli eccessi né da parte dei giovani, né da parte dei vecchi”.
In questo periodo storico, in effetti, chi fa rap – e soprattutto chi lo fa da tanto – si trova di fronte a un grande dilemma: ormai è chiaro a tutti che fare musica non basta per garantire il successo e una sopravvivenza senza angosce economiche, o almeno non sul lungo periodo. Bisogna improvvisarsi imprenditori di se stessi, creare un immaginario, sapersi vendere. Se uno è capace di farlo ed è in grado di trasformare la propria arte in un business, non c’è assolutamente niente di male: ma che succede a tutti quelli che pur essendo bravissimi a rappare non sono altrettanto bravi a vendersi e a fare pubbliche relazioni? Kiave non ha dubbi su se stesso: “Io sono un mc, non sono un brand” recita ossessivamente in Uccidimi. “Non tocca a me motivarvi: anche questo dico, in quel pezzo. Nel senso che non ho nulla da insegnare a chi vuole solo il successo fine a se stesso. Faccio fatica a relazionarmi con la cultura dell’apparire a tutti i costi, soprattutto quando non c’è sostanza dietro”.
Kiave è sempre stato una persona aperta e collaborativa, come dimostrano anche i suoi numerosi featuring (in questo EP c’è una notevole posse cut dal titolo Fatti la squadra, con la partecipazione di Don Diegoh, Blo/B e Reiven, ventunenne di Aci Reale fortissimo e fresco vincitore dell’ultima edizione del Tecniche Perfette). Eppure in questo EP emerge un suo lato inedito, molto più solitario: come in Asociale, una traccia che racconta la solitudine – spesso cercata e felice, ma molto spesso subìta – di un rapper che cerca di barcamenarsi tra il mondo esterno e il suo universo interiore. “Racconto di quando sono arrivato a Roma, che anche se non sembra è una città fredda, ostile, dove ai tempi la scena rap era molto isolata e competitiva. L’unico che mi mostrava un vero calore umano era Primo Brown, che infatti ringrazio anche nel pezzo. C’è il falso mito che un rapper debba sempre essere aggressivo e non mostrare mai i propri sentimenti veri: beh, io non sono così”.
Insomma, un lavoro che presenta un Kiave per molti versi inedito ma sempre solidissimo, abilissimo e capace di farci riflettere (una menzione d’onore va anche al suono dell’EP, molto curato, con un Gheesa in gran forma che si adatta al mood scuro di Stereokilling senza mai perdere il suo tratto distintivo). Il vecchio adagio si dimostra valido una volta di più: quando i buoni si incazzano, c’è da avere paura. Ma nel senso migliore del termine, ovviamente.