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Jah Cure: l’intervista

07-08-2015 Haile Anbessa

Jah Cure: l’intervista

E’ una delle voci più belle e melodiose del reggae e il suo nuovissimo disco The Cure edito da Vp sta scalando tutte le classifiche. Stiamo parlando di Jah Cure e questo è quanto ha riferito ai nostri microfoni nel backstage dell’Ambria Festival.

Haile Anbessa: allora Sica come sono state le vibrazioni questa notte qui ad Ambria in montagna?

Jah Cure: grandiose, bellissimo scenario naturale qui. Sono molto felice di essere qui in Italia!

H.A.: ci siamo incontrati qualche anno fa al Rototom Sunsplash. È passato parecchio tempo. Cosa è successo nella tua vita nel frattempo?

J.C.: sì mi ricordo è passato parecchio tempo e ora ci tornerò al Rototom nella sua cornice spagnola. Quella è stata la mia prima grande esperienza in Italia in un grande festival ed è stato magico. Ora questo festival molto famoso si è spostato in Spagna e posso dire che secondo me è stata una grande perdita per il vostro paese.

H.A.: è appena uscito il tuo attesissimo The Cure, il tuo album edito da Vp Records. Cosa puoi dirmi a proposito?

J.C.: è un album molto speciale per me perché ho speso parecchio tempo in questo lavoro e ance investito molto materialmente parlando. Ho voluto seguire tutto in fase di produzione ed è una cosa che non avevo mai fatto prima, perciò ci sono molto legato. È un vero e proprio capolavoro a mio parere ed è certamente il mio miglior album finora realizzato. Stanno reagendo tutti bene sia critica che pubblico e quindi sono molto contento.

H.A.: dal primo ascolto sembra un album molto maturo nei suoni rispetto al passato. Come è avvenuta questa crescita nel tuo stile?

J.C.: beh sono cresciuto come uomo e questo riflette su ogni aspetto della vita. La musica poi è la mia passione e la mia vita e quindi era inevitabile che il disco ne risentisse. Ho scelto poi i migliori producer per questo disco, selezionando molto e questo è il risultato di tanti sforzi.

H.A.: la tua famiglia ti ha aiutato in questo processo?

J.C.: certo mia moglie e mia figlia mi hanno fatto progredire molto e quindi è un viaggio che stiamo intraprendendo tutti assieme con ambizione.

H.A.: è vero che il tuo nome d’arte ti è stato affibbiato da Capleton?

J.C.: eravamo a David House ed è stato escogitato da entrambi assieme ragionandoci su.

H.A.: con quale artista ti senti più legato?

J.C.: con molti perché viviamo tutti molto vicini e quindi è facile incontrarsi. Sono spesso ad esempio a Judgement Yard con Sizzla e facciamo musica assieme.

H.A.: all’inizio della carriera chi ti ha ispirato maggiormente?

J.C.: sicuramente Beres Hammond che mi ha aiutato moltissimo all’inizio. È una leggenda e gli devo molto.

H.A.: stai già lavorando a qualcosa di nuovo dopo questo album?

J.C.: certo ora che stiamo parlando i miei musicisti in Giamaica stanno già lavorando a parecchi riddim nuovi di zecca…

H.A.: pensi che questa nuova generazione di artisti abbia la forza sufficiente per portare avanti il messaggio del reggae?

J.C.: il reggae è progresso e questi giovani mi sembrano persone serie e quindi anche il pubblico e la critica dovrebbero prenderli seriamente in quello che fanno. Se posso dare un consiglio è quello di pensare sempre alla qualità quando si fa musica e non alle mode del momento perché ciò che vale rimane in eterno come la musica di Bob Marley.