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Galup: l’intervista

10-04-2015 Haile Anbessa

Galup: l’intervista

Abbiamo incontrato Galup, giovane promessa del reggae roots nostrano. Vediamo cosa ha raccontato ai nostri microfoni.

Haile Anbessa: quando hai iniziato a cantare?

Galup: ho iniziato per divertirmi a scrivere qualche canzone su riddim giamaicani all’età di diciassette anni, preso dalla voglia di esprimermi, come ogni ragazzino. C’era chi provava a scrivere inediti su basi hip hop famosissime, tutti presi bene per il rap, e io facevo lo stesso con il reggae, spinto dall’allegria e dalla spensieratezza di quegli anni, non pensavo nemmeno che sarebbe diventata una professione, perché scrivere e cantare facevano molto di più per me: mi facevano sentire speciale.

H.A.: perché hai scelto il reggae rispetto ad altri generi?

G.: perché rappare non fa per me: non mi piace sintetizzare tutto in qualche rima, nonostante ammiri chi lo sa fare davvero. Amo cantare, ma è bello fondere i due mondi: il raggamuffin è una fusione di tutto questo. Canto con una metrica quasi rap, infatti amo cantare e scrivere anche semplici canzoni che non per forza rientrano in uno dei due generi: è bello essere liberi con la musica e il reggae è riuscito a mantenermi attivo dal punto di vista della scrittura, infatti preferisco cambiare spesso lo stile delle produzioni su cui scrivo, per mantenermi fresco e diverso, sopratutto perché piace a me essere in continua evoluzione non perché sto cercando di piacere a qualcuno.

H.A.: quali sono i tuoi modelli musicali di riferimento?

G.: Alborosie, Morodo e Africa Unite. Arrivare a comunicare anche solo l’1% di quello riescono a comunicare loro in una canzone mi farebbe sentire speciale. Credo che, oltre a essere un grande artista, per prima cosa bisogna puntare a diventare una brava persona che sa riflettere e raccontare la vita in ogni suo aspetto. Raccontare la semplicità di ciò che accade realmente è più difficile che inventarsi una realtà totalmente positiva.

H.A.: parlaci della tua esperienza in tv…

G.: l’esperienza è stata certamente positiva e divertente: trenta secondi in televisione mi hanno dato la possibilità di farmi conoscere da un numero elevato di persone e mi hanno permesso di far scoprire alla gente i miei singoli su YouTube. Grazie alla televisione sono riuscito a dire agli italiani che ero un ragazzo che credeva nella propria musica, non nelle cover o nelle canzonette. Ero lì solo per far scoprire tutto quello che avevo già fatto fuori e ha funzionato. Non avevo nessuna intenzione di far parte di un teatrino: sapevo che potevo entrare nel cuore degli italiani con semplicità, senza fare l’attore. La cosa fantastica è che mi sono ritrovato con un sacco di belle persone che ora credono in me. Serviva solo un’occasione per dire: “Anch’io faccio musica, datemi una chance!”.

H.A.: parlami ora del tuo lavoro da studio…

G.: la cosa fantastica di tutto il mio percorso è che ho iniziato firmando con Strongvilla tre anni fa e tutto ciò che è accaduto durante questo tempo non ha mai modificato le mie aspettative e il mio lavoro. Ho iniziato con loro e ho finito il disco “Libero” con loro. Ho la fortuna di avere più produttori nell’etichetta e questo mi stimola sempre a continuare a restare originale e semplice in modi diversi su produzioni diverse. Il nostro punto forte è l unione, siamo una family, con problemi e soddisfazioni con gioie e dolori, ma siamo riusciti con le nostre forze a ritagliarci un bello spazio nella musica emergente italiana e, lo ripeto, abbiamo iniziato da pochissimo e siamo già attivi su tutti i fronti. La gente risponde e noi ci siamo, vogliamo crescere e ne abbiamo le capacità.

H.A.: se potessi scegliere un artista con chi ti piacerebbe fare un featuring?

G.: Non sono un amante dei featuring: è bello conoscere nuovi artisti, nuove persone, nuovi amici, con chiunque farei un canzone, ma una persona voglio conoscerla e apprezzarla. Se nasce un certo feeling, collaborare diventa spontaneo, ma prima di tutto deve esserci uno scambio di idee, di opinioni, non sopporto chi fa finta di essere serio: i numeri bisogna farli per sentirsi qualcuno ma comunque questo non dà il diritto a nessuno di sentirsi superiore a qualcun altro, bisogna stare con i piedi per terra, tutti possono avere un momento di fama ma nessuno può sentirsi il più forte. Adoro tutti quegli artisti che sanno di essere semplicemente portatori di un messaggio e che non si sentono dei supereroi perché salgono su un palco.

H.A.: cosa pensi della scena italiana e giamaicana?

G.: credo che gli italiani dovrebbero smetterla di fare i finti giamaicani esattamente come i rapper italiani fanno gli americani. Tutto deriva da una credenza comune totalmente italiana: sono sempre più bravi gli altri, soprattutto dall’altra parte del mondo. Per questo un ragazzo che sta qui canta facendo finta di essere nato da un’altra parte. Il 90% degli italiani non capisce le canzoni che ama ma considererà sempre chi canta in un’altra lingua migliore di un italiano. Continuando così la crescita dei nostri artisti che cantano nella nostra lingua avrà sempre un limite, non andrà mai oltre, ma è quasi impossibile cambiare questa cultura… io continuerò comunque a crederci: “parla come mangi”.

H.A.: ti troveremo in tour per presentare il disco? Date?

G.: sono due anni che non ci fermiamo e continuiamo a suonare. A febbraio è uscito il disco “Libero” e ora stiamo presentando il disco. Libero Live Party: il 28/3 siamo stati con Brusco a Brescia, l’ 11/4 saremo a Mantova, il 17/4 saremo a Lodi, il 25/4 saremo a Pontevico, il 2/5 a Castiglione d/s, il 6/5 a Udine e il 9/5 a Erbusco.

H.A.: progetti futuri?

G.: crescere come persona e come artista. Il resto verrà da sé