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Il Mostro: l’intervista

27-01-2014 Marta Blumi Tripodi

Il Mostro: l’intervista

Antefatto: tendenzialmente ci sono delle persone del cui giudizio ti fidi a scatola chiusa (a volte sai che non lo condividerai, ma sai anche che è sempre motivato da qualcosa che magari ancora non comprendi). Quindi, se Gruff ti segnala che vale la pena intervistare qualcuno, anche se questo qualcuno non lo conosci e non hai tempo di documentarti perché l’intervistato ti chiamerà entro pochi minuti, la risposta è ovviamente sì. Ed è proprio quello che è successo un paio di giorni fa: lui è Il Mostro, b-boy torinese che ha accettato di condividere con noi un pezzettino del suo mondo e della sua storia (molto più vasta di così, sennò mica lo chiamavano Il Mostro). E noi lo condividiamo con voi.

Blumi: Raccontaci chi sei. E soprattutto, dicci perché sei Il Mostro.

Il Mostro: Sono il mostro, faccio tante cose stilose… Con millepiedi in una infinità di direzioni, quello che faccio è la ricerca sullo studio del movimento, siamo mostri perché viaggiamo su altre frequenze su altri livelli dentro universi paralleli.

B: Questa Mostruosità si esprime ballando, giusto? Da quanto?

I.M.: Da sedici anni.

B: So che vivi a Torino ma percepisco un accento un po’ particolare…

I.M.: Sì, vivo a Torino da tanto e conosco bene tutta la sua scena, anche se negli ultimi tempi, visto che per trovare il tempo di imparare e portare il livello più in su devi rinunciare a qualcosa, la mia attività è un po’ diminuita.

B: Hai una qualche specialità?

I.M.: Dipende da come intendi questa danza. Una volta la breakdance era un unico insieme, oggi invece è divisa in molte categorie. Forse è per colpa dell’avanzare della tecnica.

B: E tu personalmente, cosa pensi di questa divisione in categorie?

I.M.: Ognuno ha una specialità e svilupparla è istintivo. La diramazione fa parte della natura. Non penso che abbia molto senso focalizzarsi solamente sullo sviluppo della tua specialità. Per crescere bene ci vuole pazienza e equilibrio nell’apprendere anche le cose che a noi sembrano non servire assolutamente. Invece la mancanze è ciò che ci fa sbloccare altre abilita nuove: senza questo processo, rimanendo specializzati in una cosa, il progresso è accelerato ma le mancanze sono molte e l’evoluzione limitata. Tu ad esempio fai la giornalista: sicuramente ti piacerà fare tante domande diverse, o fare domande strane, e non le solite domande di routine. Con l’arte (secondo me) è la stessa cosa.

B: Cosa significa ballare, per te?

I.M.: Questa è un’ottima domanda… Uhm… Mi sa che la fate sempre, vero? (ride)

B: Beh, non so se la facciamo sempre, però sicuramente viene spontaneo chiederlo!

I.M.: Saltiamola, perché per me ballare significa davvero troppe cose. Ballare per me è vita.

B: Allora cambiamo domanda: per te ballare è un’arte legata a doppio filo all’hip hop?

I.M.: Ovviamente per me in questo caso si. non potrebbe essere altrimenti.

B: Per tanti, però, in realtà non lo è. Prendi ad esempio tutti quelli che fanno i cosiddetti corsi di hip-hop (col trattino in mezzo) in palestra…

I.M.: le palestre, o meglio: il mercato della danza.
I genitori dovrebbero forse cercare di capire prima chi hanno davanti, a che livello sta realmente il maestro e in cosa si è specializzato… e chi lo ha stabilito. Diventa troppo complicato…
Ti posso dire che
“abbiamo kili di abilità e chi li abilita

conoscere infiniti giri di batteria per ricamarci sopra movimenti caratterizzati dallo stile.
quando capisci il meccanismo diventa più facile del girogirotondo
hai mai visto una palestra di girogirotondo?
cascasse il mondo… se l’ho vista!

non ci si improvvisa maestro di breaking
peggio ancora non ci si improvvisa maestro di breaking con la scusa del ballo hip-hop.
esistono tantissimi tipi di danza
brekkare li comprende tutti
e “per ironia della sorte” tutti non comprendono il brekkare
… è un po’ come per gli screcci..
si suona qualsiasi cosa attraverso un giradisco
e qualsiasi cosa non suona come quando la suoni con un giradisco.
questo fenomeno non si spiega
si vive. e suona decisamente hiphop.

palestra o non palestra… se arriva il momento…quando arriva il momento
conta solo lo stile… stile che ricevi … stile che mandi.
Per quanto riguarda la cultura credo sia una questione personale.

B: Insomma, evoluzione.

I.M.: Sì, c’è bisogno che la scena si unisca di più per ballare insieme e divertirsi, di pensare di più al fatto che la danza è un linguaggio tra di noi per conoscerci e comunicare, senza bisogno di parole. L’evoluzione si manifesta più luminosa attraverso il nostro più puro divertimento.

B: Mi è capitato di andare alla finale mondiale del Battle Of The Year, qualche anno fa, e l’atmosfera era incredibile: il palazzetto dello sport di Montpellier era pieno di ragazzini, famiglie intere, b-boy old school da tutto il mondo. Quattordicimila persone entusiaste per qualcosa che è davvero hip hop. Si arriverà mai a questo anche in Italia?

I.M.: Certo, è inevitabile. Magari in Italia ci arriviamo un po’ in ritardo, ma ci arriviamo anche noi. Ma c’e anche bisogno di più sostegno sia dai cosiddetti sponsor e comuni verso gli organizzatori di eventi, e soprattutto da parte dei comuni verso i ragazzi che ballano anche per strada nelle varie città in Italia, ragazzi che si impegnano socialmente e culturalmente, da Lecce, Brindisi, Catania, Palermo, a Ostia, Roma, Pescara, Napoli, Pesaro, Senigallia, Bologna, Firenze, Milano, Trieste, Brescia, Torino, Genova. Non cacciate via questi ragazzi che ballano dalle piazze, dai portici o da ovunque siano, ma invece offritegli una soluzione alternativa, perché in realtà chiedono pochissimo, un pavimento adeguato e un presa elettrica per un blaster.