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The Long Road to the Hall of Fame: un documentario da vedere e sostenere

04-12-2013 Marta Blumi Tripodi

The Long Road to the Hall of Fame: un documentario da vedere e sostenere

I documentari sono un argomento che ci capita di trattare raramente, forse anche perché se ne producono sempre troppo pochi. Siamo quindi particolarmente lieti di presentarvi questo, e di farvelo raccontare direttamente dal suo ideatore. The long road to the hall of fame racconta la storia di un personaggio sconosciuto ai più, ovvero Malik Farrakhan, un tempo noto come Tony King, prima di convertirsi alla religione musulmana. La sua vita è un susseguirsi di avvenimenti incredibili: è la guardia del corpo che la Nation of Islam ha assegnato a Chuck D, ma in passato è stato anche un celebre attore e prima ancora era un giocatore di football professionista. La sua storia è strettamente intrecciata a quella della popolazione afroamericana degli ultimi 50 anni, e il lungometraggio si preannuncia davvero interessante. A curare il progetto è Reda Zine, regista/autore marocchino trapiantato in Italia, con l’aiuto di uno staff d’eccezione, vedi alla voce Deemo, Frank Siciliano, Silvia Volpato (Superfly) e tanti altri. Il documentario è attualmente in fase di montaggio, ma perché veda la luce e abbia il risalto che merita è necessario il contributo di tutti, in particolare tramite il crowdfounding. Potete sostenere The long road to the hall of fame facendo una piccola donazione, ma non è un regalo, perché a seconda della cifra che devolverete al progetto riceverete qualcosa in cambio; ad esempio una delle bellissime magliette create da Deemo (trovate tutti i dettagli sulla pagina Indiegogo dedicata). Abbiamo chiesto a Reda Zine di raccontarci qualcosa di più.

Blumi: Ci racconti brevemente chi sei e cosa fai nella vita?

Reda Zine: Mi chiamo Reda Zine e mi piace definirmi un artivista poliedrico. Vivo in Italia da circa 5 anni. Il mio ultimo lavoro da filmaker è stato This is My Story. Or Ours?, un viaggio in 4 città della “Fortress Europa”: è disponibile su YouTube. Come musicista e produttore lavoro con i gruppi afrobeat italiani Voodoo Sound Club, Fawda Trio e i Bellringers. Sono anche direttore artistico del progetto musicale P2P che riunisce vari artisti da entrambe le sponde del Mediterraneo: ItwillBeWonderful è prodotto da Creative Commons.

B: Come hai conosciuto Malik Farrakhan?

R.Z.: Facevo un reportage per una rivista marocchina all’indomani della prima elezione di Obama. Nella tappa del tour del 25° anniversario dell’album culto dei Public Enemy It takes a nation of millions to hold us back volevo raccogliere la testimonianza di Chuck D riguardo a questo evento storico, per avere il suo parere e quello della sua comunità riguardo all’elezione del primo presidente afroamericano. Durante l’intervista ho conosciuto Malik che si occupava appunto di organizzare le interviste. Da lì mi sono incuriosito per via del suo nome, Farrakhan (lo stesso del leader della Nation of Islam, ndr). In quel periodo stava lottando per il suo ingresso nella Hall of Fame della NFL, la National Football League, che poi ha ricevuto proprio l’anno in cui ci siamo incontrati.

B: Come ti spieghi il motivo per cui, come dici anche nel trailer, nessuno ha ancora raccontato la sua storia finora?

R. Z.: Questa è una domanda che mi hanno fatto anche gli americani, quando ho iniziato a parlare del progetto. D’altronde ci sono tante storie che aspettano di essere raccontate e spesso, se non si tratta di case editrici e/o di produzione super mainstream, succede con molti anni di ritardo. Ci sono mille storie cosiddette “untold”, ma ciò che fa la differenza è il punto di vista. I fratelli King sono stati i primi afroamericani a giocare insieme nella lega professionale del football, per esempio, ma non volevo girare la storia concentrandomi su quello, come mi ha chiesto il comission editor di un famoso canale americano. Nel mio documentario volevo mettere il lato spirituale/religioso che mi ha maggiormente affascinato, così come il fatto che si trattava del capo della sicurezza di uno dei gruppi hip hop più famosi, politicizzati e rispettati nel mondo, ma anche elementi di riflessione sul movimento dei Civil Rights Movement. Di recente mi è arrivato un messaggio che mi ha scaldato il cuore, da parte di un professore americano (bianco) che mi diceva “Caspita, ci è voluto uno che viene da Casablanca per raccontare una storia fondamentale per il mio fottuto paese. Grazie di fare questo film importante”.

B: La Nation of Islam è un’associazione religiosa molto controversa fin dai tempi di Malcom X, sia per lo Stato americano che per i musulmani (ricordiamo che Malcom X stesso si vide rifiutare l’accesso alla Mecca in quanto aderendo alla Nation of Islam non sarebbe stato un “vero musulmano”)…

R.Z.: Certo, io infatti vengo da una cultura musulmana nordafricana, molto diversa da quella afroamericana. Io cerco di avere un sguardo il più aperto possibile, trasmettendo la testimonianza di amici e familiari e includendo i documenti di archivio che sono riuscito a trovare. Bisogna capire i contesti storici nel quale si svolge la genesi di un movimento, soprattutto se si tratta di una religione. Inoltre bisogna tenere conto del fatto che l’America è cambiata: da una parte è migliorata e si è allargata, dall’altra si sta creando nuovi nemici e dimentica della sue popolazione. In quegli anni il KKK era una realtà pesante nel USA. La scoperta dell’opera di Malcom X è un percorso importante per qualsiasi attivista per i diritti umani, tanto che è stato proprio lui a introdurre questo termine. Poi ha fatto le sue scelte. Del resto nella comunità afroamericana è evidente il fascino esercitato dal Ministo Louis Farrakhan (il leader della Nation of Islam di cui parlavamo prima, ndr). Quando sei nel ghetto, capisci l’importanza dell’eredità del movimento Black Panther e di raccontare la storia diversamente. Ho capito soprattutto il ruolo che ha il NOI (Nation of Islam) nel gestire le tensioni sociali, in una situazione di totale assenza di forze dell’ordine, con cartelli e gang che gestiscono la droga e le armi. I NOI sono presenti e rispettati nei quartieri più sensibili. Quando è morto Tupac, e poi Biggie, è stato in gran parte Louis Farrakhan a garantire la pace dentro la comunità nera. È una voce che cerca di organizzare e di insegnare. Tanti educatori, mediatori sociali in quartieri pericolosi, attivisti, professori, artisti, sono legati al movimento. Chuck D ha dedicato la sua ammissione nella Rock’n’Roll Hall of Fame dell’aprile scorso a Louis Farrakhan e ha rilasciato delle interviste nelle quali spiegava la ragione: perché è una figura importante nella comunità, comunità che bisogna prima di giudicare, perché alla fine queste persone chiedono solo uguaglianza, giustizia e autonomia. Malik mi disse: non chiediamo all’America risarcimenti economici perché la nostra gente non saprà che farsene, andranno a comprarsi cadillac e alcol, è di altro che parliamo. Dice: “La chiesa non ci insegna la nostra storia: ciò non significa che sia sbagliata, però non ce la raccontate”. Il fratello di Malik, Charles King, da giovane ha fatto parte del NOI e poi ha deciso di ritirarsi: ho raccolto la sua testimonianza e anche quella della sua famiglia e dei suoi amici più vicini e dei colleghi di lavoro. Tony, invece, cambiando nome (e non adottandone un altro qualsiasi) ha messo in pericolo la propria carriera: sapeva benissimo che l’industria di Hollywood lo avrebbe molto probabilmente “boicottato”. Cambiando nome in Malik, butta via il suo “nome da schiavo”, come dice lui; si parla innanzitutto di una schiavitù mentale.

B: Sfruttiamo la tua esperienza di filmaker per farci consigliare qualche documentario a tema black music/ black culture: quali sono quelli da guardare assolutamente?

R.Z. Eccone alcuni di vari registi:
Black Panther (Agnese Varda)
Malcom X (Spike Lee)
Charles Mingus 1968 (Thomas Reichman)
Space is The Place (Sun-Ra)
Public Enemy & Professor Griff: Prophets of Rage
Wattstax
Whe we where kings
Soul Power
Report To The Commissioner
The Sparkle
Hell Up in Harlem

E ovviamente un po’ dei film dove si può vedere Tony King come attore. Bisogna assolutamente rivedere The Godfather (Il Padrino) e provare a indovinare dove appare Tony King. Sarà facile perché è l’unico nero nel film.

B: Lo staff che cura il progetto è quasi interamente italiano…

R.Z.: Sì, e mi vanto di lavorare con il meglio del Made in Bologna. Fabrizio Puglisi per la composizione della colonna sonora, più una dozzina di eccellenti musicisti: Mirko Cisilino (Tromba), Brother Martin (Sax Tenore, Flauto), Salvatore Lauriola (Contrabbasso), Gaetano Alfonsi (Percussioni), Piero Bitollo (Alto Sax, Basso Clarinetto), Giuseppe La Stella (Trombone). E poi Undervilla Prod nella figura di Davide aka Gatto, Ksenija, Raffaello Rossini, Luca Willette e il suo team di Pettirouge, il pioniere Deemo, Frank Siciliano, i ragazzi di I Love Mazzini, Silvia Volpato, Dre Love, Andrea e Giulia di Duna studio.

B: Qualche aneddoto e/o retroscena divertente?

R.Z.: Era tardo pomeriggio e stavamo finendo di girare un’intervista in un parco a south Los Angeles nel 2009 quando Malik – dall’alto dei suoi 2 metri e passa – sentendo da lontano avvicinarsi delle macchine, ci dice “Warning, gangs arriving”. Senza esitazione abbiamo raccolto il materiale al volo e siamo corsi verso la macchina dove però ci siamo imbattuti in una signora che, non rendendosi conto di quello che stava succedendo, l’ha riconosciuto e voleva a tutti i costi un autografo. È stato molto divertente.