Quando si vince il Tecniche Perfette (o il 2theBeat, o Spit, o qualsiasi altro contest importante), il rischio è quello di restare bollato per sempre come semplice freestyler. Un rischio che ha corso anche Kenzie Kenzei, che ha trionfato nel 2011 e che da anni milita nella nutrita schiera dei top freestyler italiani. Un talento, però, non esclude l’altro, e si dà il caso che Kenzie sia un ottimo liricista anche quando si tratta di scrivere canzoni; e dopo quasi un decennio a sfornare demo e mixtape ha intenzione di dimostrarlo con il suo primo album ufficiale, Can see can’t say, in uscita a giugno per BM Records in co-produzione con Glory Hole Records. Il disco non lo abbiamo ancora ascoltato (ma già il primo singolo Pensaci tu, in collaborazione con Noà, promette molto bene), ma abbiamo scambiato quattro chiacchiere con il diretto interessato in merito al progetto, alla sua carriera in generale e ai centri nevralgici del freestyle in Italia.
Blumi: Sei in uscita con il tuo album, finalmente…
Kenzie Kenzei: Esatto, sarà fuori entro metà giugno, e il primo singolo è già uscito qualche giorno fa: si chiama Pensaci tu, è prodotto da Fid Mella e ha il featuring di Noà, un cantante R’n’B prodotto anche lui dalla BM Records. Il titolo del disco è un gioco di parole basato sul mio nome: Can see, can’t say, ovvero vedo, ma non posso parlare. È in parte ironico, perché un rapper che non può parlare è ben poco utile, ma allo stesso tempo è la fotografia dell’Italia di oggi, in cui tutti vediamo lo schifo ma se proviamo ad alzare la voce per protestare, nessuno ci caga. Il sound è molto classico: boom bap e campioni, con produzioni di Fid Mella, dj Impro, Weirdo (Crazeology), Freshbeat, Mr. Gaz, XXX-Fila, Lefty, Mastafive e anche gente come Funk Shui di Torino, che più che fare beat suona, letteralmente. Anche per le collaborazioni ho scelto di seguire il filo conduttore della classicità: Kiave, Hyst, Brain, Egreen, Tormento, Claver Gold, EasyOne e Loop Loona, oltre a Noà. Insomma, ovviamente il mio rap può piacere o non piacere, ma credo sia un bell’album e personalmente sono molto soddisfatto del risultato.
B: La lavorazione è stata piuttosto lunga, tra l’altro, giusto?
K.K.: Ci ho messo più o meno un anno a registrarlo, ma a parte quello effettivamente sono dieci anni che rappo e non avevo mai pubblicato un vero e proprio album ufficiale. C’è chi fa uscire pezzi inediti, mixtape e street album a raffica e c’è chi invece cerca di lavorare in una maniera un po’ più oculata, procedendo poco per volta: io appartengo a questa seconda categoria, e credo che questa strategia abbia pagato, nel mio caso. Naturalmente ci sono un paio di pezzi che ho registrato l’anno scorso e che già iniziano un po’ a stufarmi, ma probabilmente dipende dal fatto che li ho ascoltati un po’ troppo! (ride)
B: Nel 2011 hai vinto l’ottava edizione del Tecniche Perfette, ma a differenza di tanti freestyler da sempre sei anche molto bravo a scrivere. Visto che però, quando si è molto validi in freestyle è difficile scollarsi di dosso l’etichetta di semplice improvvisatore, ti sei mai pentito di esserti fatto conoscere a livello nazionale tramite un contest?
K.K.: Assolutamente no, anzi, credo che mi abbia forgiato, anche perché prima di arrivare primo ero arrivato alle fasi finali già tre volte: è stata una vittoria molto sudata! (ride) Vero è che spesso chi è molto bravo in freestyle non è altrettanto bravo a scrivere pezzi, ma ovviamente non è una regola, vedi fenomeni in entrambi i campi come Clementino, Ensi o Kiave. Diciamo che molti freestyler non capiscono che scrivere una canzone non è come inventare una rima sul momento: va ascoltata e riascoltata, letta e riletta, aggiustata più volte prima di arrivare al risultato finale.
B: Quindi ripeteresti volentieri l’esperienza del Tecniche Perfette anche dopo aver pubblicato un disco?
K.K.: Se non l’avessi già vinto, sì! (ride) Non per fame di gloria, ma perché contesti come il Tecniche Perfette sono umanamente bellissimi: ti fai un sacco di amici, con cui magari sul palco ti prendi a mazzate, ma che poi ti offrono una birra non appena scesi. Se partecipi con lo spirito giusto, è una situazione che profuma di hip hop. Una situazione che mi ha fatto piacere vivere con Claver Gold, ad esempio, che abita vicinissimo a me e con cui ho affrontato molte delle selezioni. E sono rimasto in ottimi rapporti con Dari, che era il mio sfidante per la finale. Ma anche con Dank, con Noema e con tutti gli altri: siamo molto uniti.
B: Hai partecipato anche a Mtv Spit, sia nella precedente edizione che in quella in corso. Com’è andata?
K.K.: Sono contento di quello che ho fatto, nel senso che ho fatto molto meglio dell’anno scorso. La sfida, però, ha avuto un esito un po’ dubbio, perché i pareri della giuria erano 50 e 50 e quindi ha votato il pubblico, premiando il mio avversario, Shade. Tra l’altro, per sfiga il mio round è stato caratterizzato dai problemi tecnici: mi era capitata la sfida con le immagini, ma il mio schermo si è bloccato più volte. La prima volta ho continuato comunque a fare freestyle raccontando del monitor a nero, ma mi hanno fermato chiedendomi di ripartire, perché non potevano mandare in onda quello spezzone. La seconda, ancora niente. La terza è stata la volta buona, e una volta finita la sfida Morgan ha voluto raccontare davanti alle telecamere che ero stato penalizzato per colpa degli schermi. Peccato che poi, quando abbia dovuto dare il suo voto, lo abbia dato comunque a Shade! (ride) Scherzi a parte, sono contento di aver perso con un ottimo freestyler come lui, che sicuramente andrà molto lontano. Noi abbiamo due stili molto diversi: lui punta sulla battuta a effetto, io invece mi concentro più sugli incastri metrici. Cosa che probabilmente paga più al Tecniche Perfette che a Spit! (ride)
B: In alcune frange più integraliste dell’hip hop c’è un forte pregiudizio nei confronti di Spit, mentre invece chi ha partecipato racconta di un ambiente molto amichevole e di un forte attaccamento ai valori della cultura. Tu come la vedi?
K.K.: La critica più frequente che sento in giro è quella sulla scelta di alcuni giudici, che in effetti è molto televisiva e che chiaramente è imposta dall’alto. Noi, però, in quanto concorrenti siamo chiamati a partecipare a una battle di freestyle pura e semplice, che non è diversa da qualsiasi altra battle di freestyle a telecamere spente: non c’è trucco e non c’è inganno, ve lo garantisco. E anche in questo caso l’atmosfera è molto calorosa e piacevole, anche perché noi rapper ci conosciamo già tutti e quindi dietro le quinte si ride e si scherza in tranquillità.
B: Restando in tema di televisione, parliamo della polemica di cui sei stato protagonista. Ricapitolando: hai criticato aspramente Moreno, altro ex sfidante del Tecniche Perfette, per la sua scelta di partecipare ad Amici di Maria De Filippi, concludendo con la frase “Gli auguro di fare un sacco di soldi al di fuori dell’hip hop, che di sicuro alle jam è meglio che non ci viene”. Al che Nader, il socio di Moreno, ti ha dissato in un pezzo…
K.K.: Io non sapevo che Moreno avrebbe partecipato ad Amici: l’ho scoperto facendo zapping in tv e trovandomelo davanti mentre faceva una cover, la morte del rap, insomma. Il dissing mi ha dato fastidio solo fino a un certo punto e non ce l’ho senz’altro con Nader per avermelo fatto, così come non ce l’ho con Moreno: ce l’ho con chi vuole utilizzare l’hip hop per forza anche in contesti in cui non c’entra nulla. Sono anni che la gente si spacca il culo per portare avanti un discorso coerente, e a un certo punto arriva la De Filippi e decide di inserire il rap ad Amici, visto che va tanto di moda quest’anno, facendo le cose a caso e magari chiamando il primo che capita.
B: In effetti, però, Moreno non è proprio il primo che capita: almeno ha un reale background rap ed è davvero capace di fare freestyle, poteva andare molto peggio, vedi il caso di altri programmi televisivi come X Factor…
K.K.: Infatti vorrei sottolineare che nessuno, tantomeno io, si azzarda a mettere in dubbio il talento in freestyle di Moreno. Anzi, senz’altro hanno scelto la persona giusta. Il punto è un altro: posso farmi andare bene che Maria De Filippi scelga di occuparsi di rap, però deve farlo come si deve. Al di là dell’evitare assolutamente le cover, chessò, dovrebbe metterci un dj, una base in grazia di Dio… Non c’è hip hop in quel format, c’è solo un ragazzo che rappa. Giustamente i soci della sua crew lo vogliono difendere e se la sono presa con me, forse perché sono il più attaccabile: per quanto mi riguarda è una cosa nata e morta lì.
B: Moreno è salito agli onori della cronaca anche per un altro motivo: parte dei testi del suo album non sono stati scritti da lui, ma dal patron di Tempi Duri Fabri Fibra, l’etichetta che pubblica l’album (c_ome indicato anche dal comunicato stampa ufficiale alcuni brani, anche se interpretati dal solo Moreno, sono stati scritti a quattro mani, anche se il contributo di Fabri sembra essere relativo solo ai ritornelli, ndr_). In America da anni molti rapper utilizzano ghostwriter, ma nessuno dice; in Italia è un’usanza sbarcata da poco, ma a quanto pare ci si fa molti meno problemi a dirlo, visto che leggendo bene i crediti dei vari album si trovano diversi casi simili. Tu cosa pensi di questo fenomeno?
K.K.: Devi proprio farmi queste domande scomode? (ride) Scherzi a parte, io non credo che se una cosa si fa in America dobbiamo per forza importarla anche in Italia: l’hip hop qui va in un modo e lì va in tutt’altro modo. Punto secondo, io m’incazzerei se vedessi qualcuno che canta un mio pezzo: non è una canzone di Eros Ramazzotti, è qualcosa di molto più personale e interpretare un mio testo come lo farei io è impossibile. Usare un ghostwriter, o fare il ghostwriter, è anche quello la morte del rap, sono assolutamente contro. Detto questo, Fabri Fibra per me resta un esempio, un po’ perché è marchigiano come me e un po’ perché è arrivato dove è arrivato senza passare per forza attraverso la tv o i canali promozionali tradizionali. E giustamente ora ha un’età e vuole raccogliere i suoi frutti e sfruttare il momento… Personalmente io non lo farei, ma non lo biasimo.
B: Secondo te, quindi, questa è una fase momentanea o l’hip hop è destinato a rimanere?
K.K.: Da una parte spero che non lo sia, ma credo proprio che sia una fase, un po’ come quella del finto rock alla Finley e Lost di qualche anno fa. Questi sono gli anni dell’hip hop: magari non scomparirà tutto come è successo dieci anni fa, ma dubito che resterà sempre sulla cresta dell’onda.
B: Progetti futuri, disco a parte?
K.K.: Nei prossimi mesi saremo in giro per l’Italia con il 3 mc’s & 1 dj’s tour, che vede protagonisti tre mc di Mtv Spit (che variano ogni volta) e Mastafive nelle vesti di dj: per info e richiesta date, si può scrivere a BM Records. Riguardo a tutto il resto, ne riparliamo dopo l’estate: per ora voglio concentrarmi soprattutto sull’album, e portarlo in giro dal vivo.