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Africa unite: l'intervista

27-09-2008 Haile Anbessa

Ho avuto la fortuna di incontrare uno dei gruppi storici del reggae italiano. Da più di venti anni sulla scena. Il gruppo foundation per eccellenza: Africa Unite. L’intervista è stata in contemporanea sia a Bunna che a Madaski. Più che un’intervista una vera e propria lezione di reggae!

Haile Anbessa: è un vero piacere incontrare Bunna e Madaski!

Bunna: il piacere è nostro!

Madaski: figurati!

H.A.: Quante volte avete suonato al Rototom Sunsplash?

B.: questa è la quattordicesima volta oramai. Siamo proprio di casa e conosciamo tutti. E l’emozione è sempre la stessa perché sai che c’è sempre un sacco di gente a vederti! Un pubblico specializzato, educato all’ascolto che ama il reggae e che conosce bene la materia. Perciò non sono ammessi errori.

H.A.: adesso volevo parlare del vostro particolarissimo progetto dell’anno passato 4 Riddims 4 Unity…

M.: è un progetto consequenziale al nostro album del 2006 Controlli. Abbiamo semplicemente estrapolato 4 basi da questo lavoro e le abbiamo distribuite ad un po’ di amici per farci qualcosa. Quindi abbiamo rivisto e remixato le tracce e ne è venuto fuori il primo album di riddim italiano. Mi piace pensare che ciò sia stato fatto proprio dagli Africa Unite, dato che siamo stati forse il primo gruppo reggae in Italia o comunque l’unico sopravvissuto di quei tempi.

H.A: è stato difficile coinvolgere tutti quei nomi e anche importanti, come Kymani Marley ( uno dei tanti figli di Bob n.d.r)?

B.: alla fine non è stato neanche così difficile. Per gli italiani si sono sentiti tutti onorati di partecipare a tale progetti. Per quanto riguarda Alborosie invece è stata indispensabile l’intercessione di Alborosie. È stato bello riuscire a mettere assieme la scena reggae italiana con alcuni nomi internazionali, tutti in un unico progetto.

H.A.: parlavamo prima di Controlli, un album che ha segnato la vostra svolta all’elettronica. Come è avvenuto tale passaggio?

M.: per colpa del nuovo bassista Paolo! Tutto ciò che c’è di bello l’ho fatto io il brutto è suo! Comunque è un po’ un luogo comune questo dell’elettronica perché Vibra, ad esempio, è molto più elettronico di Controlli, fidati! Dal punto di vista della generazione del suono Vibra è tutto elettronico, Il Gioco ancora di più mentre Controlli lo definirei dub roots. Le definizioni sono sterili. Ci è venuto naturale comunque attualizzare ed evolvere suoni del passato. Oramai non c’è più nessuno che registra in maniera roots originale fin dall’inizio degli anni ‘90, quando l’unico strumento d’incisione era ancora il registratore a nastro. In questo senso è un disco roots Babilonia e Poesia o Sotto un Sole che Brucia. Le band che suonano non ce ne sono più. Ma non solo in Italia, nel mondo intero. L’avvento del software ha portato un controllo sull’esecuzione abbastanza totale. Ritornando a Controlli, è sì vero che il suono è più digitalizzato ma tutto suonato. Vibra era stato tutto programmato. Gli Africa Unite hanno avuto questo passaggio ma molto più live che su disco. La riproposizione delle canzoni di Controlli su palco ha comportato una diversa ricerca concettuale e da qui l’uso maggiore dell’elettronica. Noi comunque suoniamo sempre, non usiamo le basi per cantarci per intederci.

H.A.: ho visto che stasera suonerete con la sezione fiati…

B.: sì perché questo “tour” è in funzione del cofanetto Biograficaunite che raccoglie tutti i nostri pezzi storici su cd e dvd. Perciò volendo riproporre tutti i pezzi vecchi i fiati sono indispensabili.

H.A.: due parole su questo cofanetto? È un bilancio della vostra carriera?

B.: no assolutamente. Volevamo semplicemente far piacere a chi segue gli Africa da anni, con alcune memorabilia come video o foto d’archivio. E di foto ne abbiamo tante! (ride)

H.A: come la vedete la situazione del reggae oggi nel mondo e in Italia?

B.: sicuramente il reggae non è mainstream. Ma per chi ha voglia di cercarsela, la scena è in continua evoluzione. La grande innovazione in questi ultimi anni non è stata tanto negli arrangiamenti dei pezzi, che secondo me si rifanno sempre in qualche modo alle vecchie canzoni. Ciò che è cambiato maggiormente è il modo di cantare, le metriche. Questo fa la differenza col passato. E perciò è il cantante e il suo timbro che oggi fanno la differenza, non più i musicisti!

M.: per me il reggae è un genere morto dopo Marley. Non c’è stata alcuna evoluzione. Tutto quanto è in mano ai cantanti. L’evoluzione è stata solo in ambito vocale. Il dub ad esempio a influenzato un sacco di generi dalla techno alla minimal. Ma il reggae invece in mano ai cantanti non ha fatto alcun passo avanti. Anche il Nu Roots che ripropone sempre le stesse basi non è certo un’evoluzione. La musica è passata in secondo piano. Perché Alborosie ha spaccato? Perché lui è in primo luogo è un musicista e perciò ha una coscienza musicale diversa. Anche lui ha riproposto cose del passato, ma con un diverso stile e criterio. E questo grazie al suo background. Credo, ritornando all’Italia, che la scuola italiana non sia assolutamente di secondo piano, anzi. La scena italiana è viva. Ci sono situazioni molto buone. Io terrei d’occhio la scuola salentina, ma quella con quel flavour di cui ti ho parlato poco prima, ossia con l’attenzione al gruppo e agli strumenti suonati. Su tutti gli Steela, un gruppo che non canta solo ma suona.

H.A.: grazie mille per quest’intervista-confronto-lezione! Ho imparato un sacco di cose!

B.: grazie a te!

M.: alla prossima!