Reiser: Dall’EP ad adesso è passata una cifra di tempo, e molte cose sono cambiate. Frase fatta ma vabbè, niente, raccontate così, a ruota libera, come si è arrivati al progetto Club Dogo, i perché della dipartita di Dargen eccetera eccetera.
Guercio: Innanzitutto il miniCD di cui parli l’abbiamo fatto attraverso una produzione esecutiva di Chief (di Chief e Soci), il periodo in cui abbiamo iniziato a rappare è circa ‘95-‘96 per me, Fame dal ‘93. Quando eravamo pischelli siamo stati “scoperti” da Chief, abbiamo fatto un bel pò di live, abbiamo rotto il culo a molti in proporzione alla nostra età, abbiam fatto un pò parlare di noi… fin quando non è uscita ‘sta cosa che aveva una storia lunghissima, travagliatissima, è sì stata un’esperienza positiva ma non del tutto. In ogni caso, già al momento dell’uscita era abbastanza datata come storia: i testi erano di quando avevo 17 anni per esempio, ecc.
Jake: Più che altro era fatto in fretta da un punto di vista di produzione, i tempi s’erano allungati a dismisura, al tempo c’è stato un brutto rapporto con la produzione esecutiva, la nostra esperienza non era un granchè in studio ed in totale è servito a far gavetta.
G.: Poi diciamo che al momento dell’uscita noi eravamo già immersi in altre storie, in evoluzione. Dopo mille vicessitudini abbiamo poi smollato il rapporto con Chief; siamo entrati più in sintonia con Don ed abbiamo fatto sempre sotto il nome Sacre Scuole questo pezzo “Comodi, Comodi” che è uscito solo su internet (lo trovate su Area di Contagio) e su diversi CD bootleg. È stato scaricatissimo,l’abbiam fatto girare all’estero, al che ci siam presi bene ed inoltre durante quel periodo Don è riuscito a sistemarsi in uno studio.
J.: In realtà la separazione tra noi e Dargen è stato un litigio tra lui e me che successivamente abbiamo sistemato. Lui comunque già prima voleva fare altre robe, stava preparando un disco solista, e quindi lui (Guercio) ed io abbiamo detto “vabbè, facciamo qualcosa noi”
F. & G.: Beh, tornando al discorso: intorno a quel periodo (ottobre 2002) volevamo fare un altro EP - comunque sotto altro nome data la diversa paternità - ed appunto abbiamo scelto Club Dogo, dal dogo argentino, ma più che altro ci piaceva come suonava il nome. Siamo entrati in studio, abbiamo cominciato a registrare con l’idea di incidere sei pezzi; poi però abbiamo visto che ci trovavamo bene, sia con Joe che coi Two Fingaz, che continuavamo ad andare in studio, ogni volta c’era un beat che era una bomba, al che Don ci fa “Vabbè facciamo un LP” ed allora è saltato fuori Mi Fist, che sarebbe la risposta milanese a Tokyo Fist, un film malatissimo di Tsukamoto. Oltre al fatto che comunque chi sentiva i primi pezzi ci diceva “questa roba è una bomba” e cose così, dunque ci siam presi benissimo. Quindi l’album non nasce come idea in toto: è più una specie di raccolta che tende a voler dimostrare che noi facciamo il rap a Milano e anche abbastanza bene.
R.: Sì, non è che poi ci sia però un filo conduttore nell’album.
J.: No, più che a livello di contenuti direi a livello di produzioni, quello sì. I vari sample son stati scelti in un periodo abbastanza stretto. Le basi sono diverse però hanno un denominatore comune, c’è molto soul, si sente lo stampo di Joe.
G.: Oltre al fatto che ci siam resi conto come sound di avere potenzialità più che dignitose , per cui abbiam detto “facciamolo”. Nel frattempo anche senza promo o cose così la gente era interessata, chiedeva che cazzo facessimo, quindi.
DonJoe: Beh poi abbiamo avuto culo nel senso che quando abbiamo cominciato a lavorarci su la situazione era disperata; nel frattempo è migliorata per cui qualche sbocco in più c’è.
R.: A proposito di questo sbocco, che in fin dei conti si concretizza in: una rivista che. vabbè, un po’ di serate sparse e cazzimazzi. Voi ritenete che tutto ciò possa essere una riaffermazione valida o lo vedete come solo un gigante dai piedi d’argilla?
J.: Beh, ti dico, in questo momento qualsiasi cosa va bene. Semplicemente perché in parte non me ne frega più un cazzo di fare quello hardcore eccetera e poi perché comunque è meglio di niente. Io ‘sta rivista ancora non l’ho letta (al momento dell’interview ), però immagino sia stata scremata da tutta quella gente che ad Aelle spingeva prodotti che poi facevano cagare. Quindi anche se dovesse essere solo un raggio di sole a me sta bene; mal che vada la gente comunque si rende conto che qualcosa si sta muovendo, del resto siamo consapevoli che in Italia le radio scelgano di essere solo hit-radio e Mtv ecc faccia il lavaggio del cervello alla gente, siamo indietrissimo, è da troppo che aspettiamo un cambiamento, l’importante è fare roba bella ed essere contenti di quello che si fa.
G.: Poi guarda, a me del fatto che diventi una cosa troppo popolare non me ne frega un cazzo. Per me non è una cosa “giusta”, nel senso che per come lo concepiamo noi dovrebbe restare una cosa di nicchia ma potente, cioè boh vendere 5000 copie e avere un video, non pretendo Hollywood. Il circuito che a noi piace è quello eterogeneo,come nel resto del mondo alla fine.Per ora non abbiamo management, etichetta nè un cazzo quindi questo sbocco lo vedo difficile sinceramente, nel senso che uno il cd se le deve andare a cercare, sempre che non sia troppo un figo per comprare la roba di altri. Per quanto riguarda il futuro artistico del rap ho molta speranza nei ragazzini di 12-13 anni: per dire,a Bologna abbiamo notato parecchia gente che usciva con qualcosa in più del solito “sono bravo a fare il rap”, una nuova generazione insomma. Secondo me si creerà un certo tipo di situazione grazie alla quale molta roba verrà esclusa da altri prodotti, così, automaticamente: in macchina un pezzo farà dire “bello cazzo”, mentre il terzo magari farà pensare “oh ma questo che cazzo dice cosa vuole”.Oppure con un riavvicinamento delle etichette eccetera verrano esclusi i vari eroi della rete,i mille gruppi del cazzo che non possono esimersi dal fare gli artisti,quando non sarebbero nemmeno in grado di fare il pubblico in realtà.
R.: Tornando all’annoso problema delle tematiche: si arriva alla solita roba “io sono un figo”, che va bene, però cazzo oso sperare che avrai anche qualcos’altro da dire. Va benissimo anche la sparata ma ci deve essere un minimo di carattere, siamo d’accordo, no? Per me insomma è essenziale che traspaia un po’ di cazzo di personalità dal tuo prodotto. Quindi: in che misura le vostre robe possono dare un’idea di voi come persone?
J.: Al 100%.
G: Per quanto mi riguarda le cose variano da pezzo a pezzo,molte cose vanno decontestualizzate o prese con il giusto spirito,alcune sono un pò estremizzate o non immediatissime,ma del resto questa è il tipo di scelta artistica che ho fatto. Pezzo per pezzo c’è sempre qualcosa dentro,c’è roba autobiografica,roba conscious,roba zarra,storytelling,le strofe thugged-out di Fame ecc.Molte strofe vanno interpretate,altre hanno uno spirito cazzone…
R.: Lo spirito cazzone barra goliardico?
G.: Magari il momento dove siam tutti in vena di sparare puttanate. Chiaro che i pezzi che parlano di stile e basta sono esclusi da questi discorso.
J.: Poi io quando rappo Vida Loca parlo di cose che ho visto o vissuto, crescendo con un determinato tipo di persone. Ad un primo ascolto magari uno può pensare che io sia un balordo, però stando più attenti non è quella la posizione che prendo. Io giudico quel tipo di vita, non la esalto. Poi magari in altri pezzi canto d’altro, però dipende molto anche dalla città in cui vivi.Vivendo a Milano, vedo ogni giorno i maranza portati a S. Vittore perché vendono le pasticche, vedo le telecamere che mi spiano, mi fermano in strada e uno sbirro perchè ho meno di 30anni mi da le manate in faccia per qualche motivo: questo è quello che vivo io.
G.: Riguardo all’essere rappresentati: uno non è comunque mai soddisfatto. Io ho una facciata esteriore ed una interiore, e quest’ultima non risalta tanto nel disco a parte nella Stanza dei Fantasmi. A parte quello, persino nelle metafore o nelle alllusioni c’è qualcosa: film che mi piacciono, citazioni qua e là,il mio immaginario e così via,un ascoltatore come si deve può farsi un’idea della persona sentendo le sue rime.Il discorso carattere/personalità resta comunque determinante, perché di andare a tempo oramai sono capaci tutti(o quasi,lol). Vedo ragazzi che magari in quanto a metriche mi possono appendere al muro, però non è detto che trasmettano la stessa vibrazione. Difatti se il disco è venuto come è venuto -penso bene- è anche perché quando abbiamo cominciato a lavorarci notavamo un’insipidità in giro assurda, babbi che facevano wordplay e basta,che non dicevano una minchia. Fare il nostro tipo di rap è stata quindi anche una sorta di reazione, un rigetto, insomma: volevamo fare una cosa dove la gente si accorgesse di quello che dicevamo,come dice Jake un cotton fioc al napalm che stura le orecchie.
R.: Sempre riguardo al discorso personalità: qualche mese fa, per i fatti nostri, mi dicesti in merito a Lamaislam che.
G.: Sì guarda, in merito a Lamaislam, Mazzini Magreb, il grande Fabiano e la intera PMC, che più che una crew è una realtà, possiamo dire che sono una delle situazioni più potenti in Italia. Questo perché è una ballotta interraziale e perché sia live che a tu per tu ti danno delle vibrazioni che altri non danno. Poi Issam al momento non è un campione della metrica,però ha uno spessore e delle motivazioni forti.Spero che più passi il tempo,più si alimenti questo meltin-pot.Bisogna dare spazio a giovani come loro,è assurdo che c’è gente ancora che pensa al rap italiano come a quei 3 dischi del 95 ecc..io personalmente rispetto chi c’era prima di me (bella Pozziloso!!!) ma per me non c’è nessun guru,e molti artisti del passato sono ridicoli ora,escono con roba improponibile, oltre a rosicare e a non aiutare per nulla i giovani.
R.: Beh però questa è una realtà limitata a Bologna e poche altre città, toh forse Roma, ma già a Milano puoi sognartela l’interazzialità.
G.: Beh ma questo perché Milano prevalentemente è una città di cocainomani e di locali fashion. (risate)
R.: D’accordo, ma le carte in tavola restano tali e quali.
J.: Penso che queste nuove realtà meritino molto più di altri gruppi.
G.: Io ho vissuto 10 anni in un quartiere borghese e tutto, però ho visto quel che dovevo vedere e amen,ho girato e ho visto molte situazioni e posti, ho una coscienza “di piazza”.
R.: Sì ma qui si arriva a livello da discussione. Mi spiego: tu dici di aver vissuto in un quartiere borghese, io praticamente sto in un ghetto borghese-fascistello, ciò nonostante pure io ho visto le mie brave cose. Ciò nonostante non è che io per primo mi senta in una situazione tale da poter dire “l’ho fatto e ne posso parlare”, per cui.
G.: No, d’accordo, sono stili diversi, non è che per forza tutto debba ridursi al reality rap, però deve avere, come abbiamo detto, qualcosa in più. Io nel disco non dico di essere un balordo,di vivere nell’indigenza,o di rappresentare una certa classe sociale…però nella mia vita mi sono formato con la scuola e con la cultura di strada,intesa come lo stare in giro,la piazza e il Muretto da ragazzino,i marciapiedi ora dove da Milano a Parigi ci ritroviamo sempre a degenerare,mi trovi seduto sul gradino con la mia birra, raramente nel locale alla moda. Tutti ci rispettano,ho visto e conosciuto di ogni… Bisogna anche sapere il fatto proprio ed essere un pò scafati.A questo unisco un vocabolario di un certo tipo,questo è il mio stile.
R.: Una traccia di personalità.
J.: Sì, un messaggio che vada al di là del parlare SEMPRE del rap, che poi è il problema che afflige il rap stesso in Italia. Puoi darmi il migliore campione e un mc che faccia trentamila incastri, ma dimmi tu, se io che da sempre faccio rap, ho fatto il breaker, dipingo e tutto, arrivo alla fine di quel disco e mi son rotto i coglioni: figurati uno che nemmeno c’è dentro! Poi uno deve saper comunicare alla gente. La devi interessare, non basta essere semplicemente bravi tecnicamente. Non puoi dirmi per tre minuti che sei bravo, o parlarmi della situazione della scena eccetera, perchè non me ne fotte un cazzo.
G.: Puoi anche fare un disco di freestyle se vuoi, ma devi avere carattere e spessore, e questo in Italia mi porta a preferire alcuni meno cagati ad altri ben più affermati. Il battle rap a me piace, voglio dire.
J.: Ma anche noi ai tempi dell’EP eravamo più in fissa coi tecnicismi e tutto, però ti dirò sinceramente che io ora come ora non mi reputo per niente migliorato nel flow rispetto a tre anni fa. Ho puntato però sul dire altre cose,sull’essere più incisivo,sul dare delle vibrazioni.
R.: Sì beh c’è da augurarsi che questo venga maturando più che per un discorso esclusivamente “comunicativo”. Altrimenti resta ben poco. Perché in sé, i beat, per quanto belli possano essere li posso apprezzare io o chiunque ascolti da un po’ di tempo il rap, ma certo non l’italiota medio che si spara endovena di musica leggera o che cazzo ne so io, quindi o vai di testo o difficilmente ti si aprirà una vasta fetta di gente.
D.: Beh comunque il livello dei beat punta ad essere competitivo. per dire, “Qualcosa In Mente” è sul genere della roba che va in America alla Just Blaze.poi se qua la gente non è nemmeno abituata a quel suono lì…
G.: C’è gente, ti parlo di hip hop heads, che ha scambiato i campioni vocali soul pitchati (cosa che nel mondo c’è in moltissime produzioni da anni) con campionamenti da cartoni giapponesi (!!!!!!!!!!!!!!)
J.: Se uno non è sordo e non ascolta solo cazzate può percepire l’energia e il figame del suono… anzi magari più dei i cosiddetti “hiphoppers”in italia che se la menano ma molto spesso non hanno gli strumenti per capire, non hanno cultura… ti dirò poi che i beat sono sì spinti, tagliati e tutto, però possono essere apprezzati anche dal neofita. Ovvio che non dev’essere il cretino che si guarda Paperissima. All’estero stiamo avendo dei riscontri, senza dire con questo che siamo dei in terra o chissà cosa.
R.: Racconta racconta.
J.: Ma, niente, abbiamo fatto un pezzo per una compila straniera per esempio, abbiamo un feedback strapositivo da diverse città in Europa,adesso non è che vogliamo fare i belli che dicono ‘questo ha detto questo’,perchè non è il nostro stile.. chiaramente però qualcosa significa,cercheremo presto di concretizzare delle connections e di suonare un pò fuori,siamo già in trattativa per delle storie,speriamo in bene.
R.: Tirando le somme, fammi capire: quello che dici è che il prodotto può essere ascoltato sia da uno che il rap già lo ascolta -e per lui ci sono i beat pompati e tutto il resto- sia da un “neofita” il quale comunque ha come base certi testi e poi, eventualmente, anche la parte musicale la quale mantiene pur sempre una sua dignità. In un certo senso come il jazz, dove non esiste che si ammorbidisca il suono per farlo piacere: se ti piace allora cominci ad ascoltarlo, altrimenti bòn, fatti tuoi. Uno zoccolo duro comunque resta.
J.: Sì beh occhio però, perché se avessimo voluto ragionare in termini di radio e cose così avremmo fatto altro. Sì, la gente che viene a vederci è comunque quella che, come noi, si muove all’interno del rap. Quello che cerchiamo di fare è dare un prodotto valido a chi una predisposizione, se non altro, già ce l’ha.Sicuramente a chi ascolta r n b da froci su Soulsista del nostro disco non gliene fotte un cazzo.
R.: No, io dicevo che lo zoccolo duro lo vai comunque a creare. Il prodotto è questo, se ti piace lo ascolti tutto e te lo godi, altrimenti no e punto. Chi poi resta ad ascoltare è sicuramente uno che in quanto a “longevità” di passione e gusti verosimilmente sarà più affidabile di chi ha ascoltato solo il tuo pezzo commercialotto ma che non ha nemmeno un’idea di come sia il resto.
G.: Esatto, è il discorso di prima, cioè che ci stupivamo del fatto che anche tra la gente “normale” il disco piaccia di brutto,purtroppo non in termini di vendite ma di diffusione. E questo penso perché è un prodotto oggettivamente figo, prima di tutto…può piacere ai ragazzi in generale,b-boyz o zarri o skater o sailcazzo.
D.: Poi sono comunque uno standard classico, anche orecchiabile, se vuoi. Non roba alla Def Jux per esempio che magari risulta indigesta persino ad uno che il rap lo ascolta già di suo.
R.: E comunque mal che vada ve la giostrate coi testi. Toh, penso a Sangue e Filigrana, che ha un contenuto che è già stato trattato in altri ambiti ma sicuramente non è uno standard del rap. A questo punto poi volevo anche sapere magari quali fossero le altre influenze che avete.
G.: Ascoltiamo e suoniamo un mucchio di reggae e dancehall,a me piace il funk e il soul,il dub, il rocksteady, la musica da rave… ascolto una cifra di roba la musica è la mia vita, stessa cosa vale per Fame, senza parlare di Joe che è pure un crate-digger.
R.: Cambiando totalmente discorso, c’è una domanda che a me sta a cuore e che, dopo aver sentito l’album, ha un senso porre a voi più che ad altri: diciamo che in più pezzi prendete delle posizioni chiare su argomenti di portata sociale e politica. Questo in un contesto musicale dove generalmente si adora aprire la bocca per dar aria ai denti ed in un contesto culturale che è la Milano di oggi, fatta al 90% di ventenni neoyuppies del cazzo. Insomma, non certo un terreno fertile per argomenti minimamente pregnanti. Cosa vi ha spinto invece a farlo, non so’ un senso di disgusto o che?
G.: Per me è ridicolo dire che il rap è un mezzo di ribellione… è battle, è fighe, è il fumo, ma è anche comunicare qualcosa. Per dire, mio padre è uno storico antifascista,negli anni 70 ha scritto libri sovversivi, libri contro la CIA, questo ed altro. Io ho preso da mio padre una certa mentalità, e per dire: Cronache di Resistenza è stato scritto subito dopo il G8 di Genova pensando anche a quello. Ora non dico che i rapper debbano fare pezzi posse, però puoi capire che un certo influsso ci sia.come dicevi tu avere una Coscienza, intesa come una linea di pensiero propria,in mezzo a questo pattume culturale è molto importante.Se ascolti il mio verse in Indecifrabili (in testa scene proibite,zero tabula rasa!), nonostante non sia l’ultimo ritrovato della metrica,dovresti percepire sta cosa.Io non voglio fare il maestro, ma ci sono troppi ragazzi della nostra età a cui non fotte un cazzo di niente… gente che non prende in mano un libro dalle elementari,al cinema vede solo Vanzina e come giornale legge solo la Gazzetta… gente senza interessi a parte farsi o andare a ballare, e che molto spesso per di più ha pure un’ideologia semi-fascia… forse è così soprattutto a Milano ma sta cosa la riscontro di brutto,in tutte le classi sociali, e mi piange il cuore perchè comunque sarà una banalità ma il mondo deve essere cambiato dai giovani… in questo senso adoro esprimermi col rap perchè posso diffondere controcultura… un giorno accadrà una rivoluzione delle menti e abbatteremo tutti quanti le macchine con le nostre rime.Il mio obiettivo è far saltare la gente dalla sedia perchè oltre a scuotere la testa col beat ci sia qualcosa nel testo che li infuochi.
J.: Dichiari una appartenenza, o meglio: sei per una cosa e CONTRO un’altra. Io vengo da una famiglia che ha fatto le rivolte studentesche pur non studiando, dal’68 al ‘77, con tutto quello che c’era in mezzo, quindi la discussione politica esiste. Quando dico “generazione post Br figli della bomba” dichiaro la mia coscienza politica distaccandomi dalla realtà milanese che mi fa schifo, che poi è quella dove nasce e cresce il manichino lampadato fashion con la merda nel cervello. Tutti in Italia riconoscono nei milanesi quella cosa lì, ed io prendo le distanze dimostrando che ho imparato da chi ha vissuto quei periodi di cambiamento anziché da chi, oggi come oggi, ha scordato tutto o nemmeno l’ha mai saputo. Non potrei mai essere un fascio, mio padre è stato accoltellato dai fascisti, tutti e due i miei sono stati sdraiati per terra in manifestazione mentre gli sbirri sparavano ad altezza uomo sulla folla. Non potrei stare dall’altra parte, avendo conosciuto i fatti non posso ignorarli. Tutti i fighetti di Milano sono così perchè sono viziati, anche nel cervello. Non hanno bisogno di sapere niente, quindi non si interessano. Purtroppo ho il timore che tutti gli stronzi che vedo a Milano rovinarsi di cale e cocaina e cinghiare le troie nigeriane con la faccia da stronzo della Milano-bene, molto presto occuperanno posizioni importanti nella società. Quello che domina oggi tra i giovani è il mito della violenza, la cultura del nazo, per darsi un tono cattivo. A me questa strada fa schifo, io SONO cattivo, non ho bisogno di farlo per finta.
R.: Tornando a proposito delle basi: spiega un po’ come hai tirato fuori il sound che c’è sul disco.
D.: Beh, innanzitutto ho lavorato per anni con Irene Lamedica e gente che ha un grande background soul e funk,in quel periodo ho avuto l’occasione di far pratica in studio. Poi anche coi ragazzi dei Two Fingaz, però il suono cerca di essere mio, e naturalmente non sono giunto alla fine del processo..per quanto riguarda Mi Fist e comunque il mio stile di produzione in generale i miei riferimenti musicali si concentrano soprattutto nella prima metà degli anni ‘70,non necessariamente soul funk americano, ma anche altro come per esempio rock progressivo italiano.Sicuramente in quegli anni c’è la roba che suona meglio,forse perchè c’erano dei produttori eccezionali;più tardi con l’avvento della disco-music i suoni si sono infiacchiti e uniformati.
R.: OK ora, varcata la soglia dell’ellepì, cos’altro avete in cantiere?
G.: Attualmente stiamo collaborando con altri artisti,in famiglia invece il progetto portante per ora in fase embrionale è il lavoro di DonJoe come producer,ci saranno numersi rappers e cantanti italiani, francesi, arabi e senegalesi. Inoltre uscirà Hashishinz(introducing Marracash) e vorremo fare anche dei mix-cds.da settembre torneremo nelle dancehall con Mi-Residenza, la nostra crew, il ragga più spinto, real hiphop e visual. I progetti sono troppi e su 20 magari se ne realizzano la metà,in ogni caso fuck whatcha heard,su www.clubdogo.org nient’altro che la verità. Comprate Mi-Fist:chi lo masterizza-scarica è un ladro e una spia!
Bene, a questo punto direi che è tutto, ringrazio ovviamente Guercio, Fame, Don, la loro loquacità e la loro disponibilità, e chiunque abbia poi contribuito al proseguo della serata.